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APOCALYPSE NOW: La fine di un mondo e l’odore delle armi

1979, Coppola gira Apocalypse Now, che addirittura nel titolo suggerisce l’atto finale di un’escalation militare dai molteplici rimandi, dalla guerra del Vietnam al cuore di tenebra di una civiltà occidentale incapace di guardarsi dentro, e acriticamente lanciata verso il disastro.

Il racconto di Conrad Cuore di tenebra (da cui è tratto liberamente il film), scritto alla fine del secolo precedente, nasceva dal bisogno di attaccare ideologie colonialiste e descrive il viaggio di un marinaio che  va in Africa a cercare il male, ma nel suo viaggio circolare troverà un male ancora più oscuro nel delirio di potere della civiltà occidentale. Diversamente,  il film di Coppola (che racconta l’orrore della guerra e di un disertore  adorato come un dio che resisteva nel cuore della giungla) descrive il drammatico trionfo della follia di onnipotenza e  il ricorso all’azione militare come inevitabile e necessaria risoluzione di qualsiasi devianza, sia politica che comportamentale.  Kurtz rintanato nella foresta vede l’orrore, è lui stesso l’orrore. La cultura occidentale della volontà di potenza è annientamento dell’altro, del diverso da sé, ma è anche autodistruzione: il ricorso alla violenza al di là di qualsiasi ideologia è finalizzato al mantenimento del potere.
Di qui l’esaltazione del gesto militare, la scenografica devastazione che investe uomini e ambiente, in un crepitare di bombe e di armi dal sapore riconoscibile,  come quel napalm di cui i mastini della guerra si nutrono inebriati e affascinati.

Nella nostra epoca, dove la guerra sugli schermi televisivi arriva solo quando serve, dove l’Apocalisse esiste ma è spesso fuori campo, il posto delle armi è diventato anche quello della quotidianità, dove sono usate normalmente ma spesso in scenari di morte che, ci vogliono far credere, sono frutto di soggettiva follia. La recentissima strage dei bambini nella scuola del Connecticut (già vista anche al cinema, come nel lucido Bowling a Columbine) sono l’esito di una mente malata o il frutto di una cultura di morte che rivendica la moderna necessità di pianificare industrie belliche, cacciabombardieri e armi automatiche ? Armi, appunto, di uso normale, come quelle che hanno armato il braccio di un giovane omicida, che aveva imparato a sparare andando tutti i giorni con la madre a un poligono di tiro. Una attività consapevole, diffusa, socialmente accettata, parte integrante di una cultura, la più occidentale di tutte, che si è fatta schiava del Dio delle armi.

Giulio Rossini

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