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Appunti sul cinema d’artista

La mostra Lo Sguardo Espanso. Cinema d’artista italiano in mostra (1912-2012) rimarrà aperta fino al 3 marzo 2013 presso il Complesso Monumentale del San Giovanni, Catanzaro.
In un momento storico dove sia i musei d’arte contemporanea, sia le cineteche si interrogano sul rapporto tra arte e cinema, il 30 novembre 2012 ha aperto a Catanzaro la mostra Lo sguardo espanso, che ritorna proprio sulla definizione di cinema d’artista in Italia dal 1912 al 2012. In costante dialogo tra ‘mostra storica’ e ‘mostra contemporanea’, l’atteggiamento dei tre curatori (Bruno Di Marino, Andrea La Porta e Marco Meneguzzo) è quello di affrontare la domanda con la presentazione di qualcosa come 300 opere (divise tra lavori installati e film in rassegna) e più di 50 artisti.

Se assolutamente contemporanea è l’urgenza di trovare e definire una collocazione storica del cinema d’artista all’interno del linguaggio visivo italiano del Novecento, è altrettanto doveroso interrogarsi sulle modalità di presentazione di tale riflessione, per certi versi così legata alle proprietà tecniche e tecnologiche del mezzo (pellicola, elettronica e digitale). Ecco dunque perché al solito testo introduttivo del catalogo, i curatori hanno preferito pubblicare un breve dialogo, una forma aperta e quasi spontanea di riflessione, dal quale emergono domande cruciali come: che genere di oggetto culturale è il film d’artista? Dove si fruisce il film d’artista?

Seguendo un percorso cronologico che affonda le sue radici nel Futurismo, la mostra alterna stanze dedicate a singole figure di rinomato livello artistico tra cui Mario Schifano, Paolo Gioli, Carmelo Bene, Mimmo Rotella e Luigi Veronesi; a stanze dove invece è una particolare esperienza (es: Corona Cinematografica) o tematica (es: architettura e fotografia, musica e segno) a rappresentare il fil rouge che collega le varie vicende.
Una delle prime date ‘tracciabili’ di questo percorso è il 1916 con la redazione del Manifesto della cinematografia Futurista. Il cinematografo è per i Futuristi mezzo di nuove espressioni, fondato su elementi di simultaneità e dinamismo. L’interesse per il cinetismo alla base delle opere di Balla e Boccioni, trova ampio riscontro anche nelle fotodinamiche di Bragaglia collegando di fatto le ricerche pittoriche alle sperimentazioni foto-cinematografiche.

Luigi Veronesi, attivo prima in teatro e poi al cinema con un totale di 6 film sperimentali e astratti, di cui 4 completamente perduti, è presente con Film n° 4 (studio 40) e Film n° 6 (studio 41), datati 1940-41. I due film sono formidabili esempi di cinema fatto senza macchina da presa, allegre sinfonie di forme e colori che, pur non essendo sonori, contengono una loro calcolata e intrinseca musicalità.

La sperimentazione cinematografica si intensifica nel decennio che dal 1965 si affaccia agli anni 70 per poi esaurirsi con l’arrivo del videotape e la video-documentazione. Sulla scia di movimenti internazionali, il cui centro è rappresentato dall’esperienza americana della Film Coop di Jonas Mekas, atta a sviluppare e promuovere una struttura indipendente di diffusione delle pellicole sperimentali, nel 1967 apre in Italia la Cooperativa di Cinema Indipendente (CCI). Un gruppo abbastanza folto di artisti e cineasti aderiscono all’iniziativa (Angeli, Bacigalupo, Baruchello, Bignardi, De Bernardi, Ferrero, Grifi), rappresentando di fatto il secondo momento fondamentale della cinematografia sperimentale italiana dopo il Futurismo. Poco importa se il destino di questa esperienza è fallimentare dopo neanche due anni dalla sua costituzione. Ciò che di essa sopravvive e si espande in modo capillare è la spinta verso la ricerca di nuovi ambienti utili alla ricezione dell’opera, trovando nel furore culturale di quegli stessi anni il terreno fertile per il suo sviluppo. E’ questo il periodo in cui l’esperienza visiva rifiuta i canoni artistici riconosciuti, e il cinema stesso diventa oggetto di sperimentazioni volte alla ristrutturazione del processo di partecipazione per la creazione dell’immagine.

Significativa in questo senso è la presentazione del Rotor di Umberto Bignardi alla celebre mostra Fuoco, Immagine, Acqua, Terra (1967) alla Galleria L’Attico curata da Boatto e Calvesi. Ricostruito prima nel 1994, poi nel 2000, il Rotor rappresenta uno dei primi esempi di Cinema Espanso italiano. Presentato in una sala interamente dedicata all’opera, lo schermo cilindrico rotante composto da elementi di plastica, legno e specchio, richiama alla memoria le macchine del pre-cinema. Su di esso Bignardi proietta il film Motion Vision (1966-67), realizzato con l’amico Alfredo Leonardi. Il girato è un omaggio alle ricerche sul movimento e la cronofotografia di Muybridge. Attraverso il gioco di riflessi innescato dal Rotor, l’immagine filmica si stacca dai confini ‘classici’ dello schermo, occupando di fatto l’intera sala di proiezione.

A continuare l’analisi sul rapporto tra movimento e spazio di proiezione la mostra ci offre l’opportunità ‘rarissima’ di vedere Schermo-oggetto di Paolo Gioli. L’anno di realizzazione di Schermo-oggetto (o schermo multiplo) è sconosciuto, come non esistono date ufficiali delle due proiezioni private nelle quali Paolo Gioli lo ha impiegato. Le informazioni a riguardo sono legate alla memoria di poche persone in stretto contatto con il lavoro dell’autore. E’ comunque possibile collocare la sua realizzazione intorno alla prima metà degli anni 70. Schermo-oggetto è una cornice rettangolare dal fondo bianco. In corrispondenza del bordo laterale destro ci sono quattro fessure verticali dalle quali il cineasta inserisce sagome geometriche colorate. Ognuna di queste è di forma diversa variando dal rettangolo al quadrato e dal triangolo al cerchio. Durante la proiezione la superficie interna dello schermo viene animata a creare stratificazioni e sottrazioni di forme e colori. Figure più o meno riconoscibili si alternano in un continuum di apparizioni e scomparse che seguono la sensibilità dell’autore.

Senza ideologia: G.W. Pabst ‘Westfront’ (1975) di Fabio Mauri è l’unica opera in mostra presentata su supporto originale (16mm) proiettato su un ventilatore in moto. Lo strappo alla regola è stato concesso solo in occasione della serata di inaugurazione, e per ovvie ragioni di sicurezza ne comprendiamo la scelta.

La ricostruzione storica lascia poi spazio alle ultime sale dedicate al cinema d’artista contemporaneo. Qui la selezione diventa più ardua e a volte un po’ difficile da seguire. Però, nel complesso l’impressione è quella di una realtà viva e di forte ricerca, volta ad approfondire l’evolvere tecnologico dell’era digitale. Tra i lavori più interessanti c’è Un luogo a venire, 412 secondi di video in 177 Kg di cristallo (2012) progettato dal collettivo Flatform. Qui il fotogramma diventa il protagonista assoluto del film; cristallizzato e ordinato a formare la serie temporale di cui il film si compone, esso ci viene presentato come ‘volume’ solido della visione. Quasi a voler condensare il cono ottico in un unico cubo di materia, il film diventa visibile attraverso la sovrapposizione e la trasparenza delle lastre di cristallo, dove per un sottile e gioco di ribaltamenti, il risaluto del meccanismo di proiezione non è il film in quanto tale, ma la sagoma del suo schermo.

Nell’ultima sala della mostra, c’è invece l’idea affascinante di «cinema ri-animato» proposta dal video artista friulano Daniele Puppi. What goes around comes around (2011), è il primo di una serie di lavori che approfondiscono il rapporto tra immagine cinematografica e spazio, quest’ultimo da sempre oggetto di incontro/scontro, indagine e trasformazione nelle ricerche dell’autore. L’opera si sviluppa attorno ad una sequenza tratta da L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente (1972), dove il protagonista Bruce Lee ingaggia un combattimento all’ultimo sangue con Chuck Norris fra le suggestive volte del Colosseo. Puppi ‘agisce’ sulla narrazione dell’episodio decostruendo e rimontando la scena. Ciò però non avviene durante l’editing in post-produzione, ma al contrario, è il montaggio stesso ad assumere una valenza spaziale nella narrazione della sequenza. Le coordinate classiche dello schermo cinematografico, vengono esasperate e messe in relazione con lo spazio della proiezione. Così facendo lo schermo, da oggetto subordinato alla proiezione filmica, diventa soggetto agente in stretto dialogo con il film e la sua narrazione.

Lucia Aspesi

 

 

 

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