Berlino 2016

Berlinale 66: il capolavoro è un film egiziano

Ed è ecco finalmente arrivare il capolavoro della Berlinale: In the last time of the city di Tamer El Said, assurdamente fuori dal concorso principale, per fortuna accolto in quella miniera d’oro che è “Forum”.
Si tratta di un magnifico film egiziano ambientato nell’inverno 2009/10 al Cairo. Il film racconta la città come fosse un organismo vivente: 201614482_1Khalid è alla ricerca di una casa, è un regista che vede le sue immagini più e più volte, come in attesa di un senso. Sullo schermo vita vera e immagini del film che sta realizzando si sovrappongono. È un film in cui ci si perde, le storie che racconta sembrano apparire per magia, la camera è sempre in movimento e le immagini entrano ed escono come un flusso continuo nel corso del tempo, appaiono e scompaiono con momenti pieni di tenerezza. Vediamo  l’addio alla sua fidanzata, la madre malata, amici che vanno e vengono da altre città, l’esultanza degli egiziani per una partita di coppa d’Africa, sentiamo solo sullo sfondo (radio, tv) l’attualità politica con i discorsi di Mubarak e i cortei contrari.
È un film sulla realtà mista alla finzione, infatti il protagonista Khalid Abdalla, anche produttore del film, sembra vivere sullo schermo mentre vaga nella città, mentre guarda il Nilo, mentre si sofferma su cose che sembrano di poca importanza. Vaga anche nella vita, gira intorno al punto centrale senza mai toccarlo, è testimone dei cambiamenti ma non è mai parte attiva. Fa il filmaker ma l’attimo sembra non arrivare mai, prende in mano la telecamera per filmare ma non filma o non sa cosa sta filmando. Nei discorsi con gli amici si sovrappongono le città di Baghdad, Berlino, Alessandria, Beirut, tutte città che hanno qualcosa in comune col Cairo: città di esuli, spesso città di guerra. Gli amici inviano materiali video a Khalid per mantenere una connessione con qualcosa che non si riesce ad individuare. È questo il Cairo, un qualcosa che sfugge anche all’immagine stessa, è forse un fantasma. Al Said usa immagini tra fuoco e fuori fuoco per restituircela, è un modo intelligente e visivamente bellissimo per cercare di rappresentare quell’attimo che sta cercando il protagonista. Tutto il film è un andare tra memoria, presente e futuro alla ricerca di quell’attimo, di quel momento che è quello prima della rivoluzione. La cosa eccezionale del film è che non vediamo mai pazza Tahir, vediamo delle manifestazioni, sentiamo delle proteste, c’è anche un pestaggio, ma non c’è mai la rivoluzione nel suo compiersi. Un distributore internazionale aveva chiesto a Al Said di finire il film con la rivoluzione e il rovesciamento di Mubarak, ma il regista ha saputo resistere a questa tentazione, così il film risulta più universale. È un film su quel momento che poi arriverà, quel momento impercettibile in grado di cambiare una vita.

da Berlino, Claudio Casazza

 

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