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Berlino 64: non solo Clooney

Un po’ di delusione per l’atteso Monuments Men di e con George Clooney, fuori concorso. Ma anche per il tedesco Die geliebten schwestern – Beloved Sisters di Dominik Graf, che non vale le tre ore di durata. La terza giornata della Berlinale è stata, per quanto riguarda la selezione ufficiale, sotto le aspettative. Il film tedesco in costume è un beloved sisterslavoro dignitoso e non molto di più, di quelli, però, che potrebbe fruttare un premio all’attrice segnatamente la bella e brava Henriette Confurius che interpreta Charlotte von Lengefeld. Un film molto parlato, lineare, realizzato con cura, ma più pronto a essere diviso in due puntate per la televisione che per una programmazione cinematografica. Se non si è Lav Diaz, se non si girano film come La vita di Adele, La mogie dl poliziotto o The Wolf Of Wall Street, è meglio non mettere a dura prova lo spettatore con racconti fiume. Dilatazione e accumulo di cose a parte, la Graf racconta una relazione che pare tanto naturale quanto bizzarra. Una sorella educata per vivere a corte, l’altra sposata a un uomo che non ama per risollevare le sorti familiari. Durante l’estate conoscono l’autore de “I masnadieri” Friedrich Schiller (l’attore Florian Stetter)che passa dalla loro residenza e se ne innamorano ricambiate. Una famiglia con una certa frequentazione con i grandi letterati, se la zia dalla quale è cresciuta Charlotte ha avuto una storia con Goethe, che passa come un fantasma passeggero nella pellicola. La decisione, caldeggiata da Caroline, di far sposare la sorella con Schiller provoca alla lunga dei dissapori. Ma Die geliebten schwestern ha i suoi momenti migliori nell’idillio platonico e negli scambi epistolari (con tanto di linguaggio cifrato) che distolsero lo scrittore dal consegnare le opere promesse.

Clooney al quinto film da sceneggiatore (con Gran Heslov) e regista gira in parte a vuoto: il film è pieno di buone intenzioni, di umanità, lascia un bel messaggio ma non si può dire riuscito. Un film di guerra per raccontare di sette uomini (nella realtà furono di più) che aderirono a un programma lanciato dall’amministrazione Roosevelt sollecitata da alcuni professori e appassionati d’arte per salvare i capolavori della cultura europea dal nazismo. Così nel ’44 sbarcano in Normandia anche i cinque volontari americani, un francese e un giovane soldato tedesco di nascita per cercare di salvareThe Monuments Men Film il salvabile e recuperare quanto trafugato. Si dividono e si muovono tra Francia, Belgio e Germania per evitare che i nazisti distruggano le opere d’arte. Lo spunto potrebbe suggerire una storia alla Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino: Clooney sta lontano da quella pietra di paragone, guarda più al cinema di guerra classico (e la colonna sonora di Alexandre Desplat pure) e cita, tra gli altri, varie volte anche Salvate il soldato Ryan. Il problema è il tono del film, non abbastanza ironico, non abbastanza action, con personaggi poco delineati (tra gli attori John Goodman, Matt Damon, Jean Dujardin e Cate Blanchett) e una mancanza di ritmo e coinvolgimento. Resta, forte, una storia molto poco nota (raccontata nel romanzo di Robert Edsel che ha ispirato il film) e nel discorso sempre valido che ne esce. Le opere d’arte e i monumenti sono parte di noi stessi, della nostra storia e della nostra identità, perderli, distruggeli significa perdere una componente importante di noi stessi. Il monito, che vale la pena di sacrificarsi per salvare il patrimonio artistico, è sempre valido: anche nelle recenti guerre in Iraq e Afghanistan o nella rivoluzione egiziana tra le prime vittime ci sono state le testimonianze del passato e le opere d’arte. Oggi è soprattutto la giornata dell’atteso Nymphomaniac volume I di Lars von Trier, uno scandalo annunciato che farà discutere.

da Berlino, Nicola Falcinella

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