Berlino 2016

Berlino 66: ra Forum e Panorama altre sorprese dalla Berlinale

Come ogni anno “Forum” si conferma la sezione con le sorprese più gradevoli, quella che si assume più rischi con cinema di ricerca, documentari non scontati e film di finzione spesso fuori dagli schemi. “Panorama” (sia fiction che documentari) invece è spesso una sicurezza con prodotti ben confezionati, grandi temi e buoni risultati, forse ci sono troppi film scontati e ogni tanto manca quello scatto in più.

Iniziamo da “Forum” e dall’interessante, anche se un po’ ambiguo, Ilegitim del rumeno Adrian Sitaru: quattro figli scoprono che il padre Victor ilegitimnel periodo di Ceasescu ha denunciato molte donne che volevano abortire, causando sofferenze e distruggendo vite. All’epoca c’era il divieto di aborto e Victor si difende dicendo che la loro madre voleva abortire e che grazie a quella legge i gemelli Sasha e Romi sono potuti nascere. Poi il film prende una piega ancora più estrema. La telecamera è sempre al centro del ciclone famigliare, le accese discussioni vengono catturate come fosse un documentario, tutto camera a spalla e dialoghi sentiamo il respiro degli attori. Questo film deve molto alla formidabile prova degli interpreti, in primi la protagonista Alina Grigore. È cinema vero che nonostante i temi fortissimi (aborto, incesto, dubbi morali, responsabilità) riesce a trovare un equilibrio di messa in scena per nulla facile. La fotografia è tutta giocata sui toni grigi, pare perfetta per rappresentare un mondo che non può essere diviso tra bianco e nero. Qualche schematismo è evidente ma Sitaru è bravissimo nel tenere in piedi un film che poteva sbracare da un momento all’altro.
Deludentissimo invece Barakah yoqabil Barakah, film saudita molto atteso, presentato come la commedia romantica araba. È un lavoro che pone molti interrogativi e cerca di farci capire qualcosa di cosa succede in Arabia Saudita: Barakah è un funzionario comunale di Jeddah con origini umili, mentre Bibi è una bellezza selvaggia che lavora in una boutique, figlia adottiva di una coppia il cui matrimonio ha sofferto a causa della loro mancanza di figli biologici. Lui è anche un attore dilettante in una compagnia teatrale, mentre lei è una blogger famosa in Instagram oltre che modella occasionale. Il destino li riunisce e loro si impegnano ad aggirare il sistema della tradizione imperante in Arabia Saudita che non vede di buon occhio relazioni non codificate. Il regista cerca di mostrarci questo mondo con un film esilarante e stravagante, il problema è che non fa ridere e di conseguenza i nobili intenti risultano annacquati.
Muito romantico di Gustavo Jahn e Melissa Dullius, presentato in Forum Expanded, sezione ancora più di ricerca all’interno di Forum, vede i due registi mettersi in scena fin dal viaggio in nave che li porta dal Brasile a Berlino. Col passare del tempo e le stagioni i due cambiano, confondendo il confine tra la vita e il cinema: sullo schermo si alternano fotografie, case, un tessuto colorato di ricordi, incontri e sogni, tutto con una non narrazione che spesso affascina. La loro casa si trasforma nel centro del loro universo personale, un luogo tra realtà e finzione, finché un giorno un portale cosmico si apre nel loro appartamento, che stabilisce un rapporto tra passato, presente e futuro. Film estremo girato in 16mm e ovviamente 4/3, una follia visiva e musicale.

road“Panorama”: c’era attesa per A road to Istanbul, il nuovo film di finzione del franco-algerino Rachid Buchareb (il regista del bel London River). La storia che racconta sembra uscita dalla cronaca quotidiana: Elisabeth vive con la figlia Elodie in una casa idilliaca nella campagna belga. Non è eccessivamente preoccupata quando Elodie non torna a casa una sera, ma presto la polizia la informa che sua figlia ha lasciato il paese per entrare nelle fila di Stato islamico in Siria. Lei è sbalordita, incredula e comincia a indagare. Scopre che la figlia da mesi conduce una doppia vita di cui lei non aveva alcun sospetto. Elisabeth non può comprendere questa scelta, decide di partire per la Turchia e da lì andare a cercare la figlia in Siria per riportarla a casa. Ne esce un bel racconto di una madre che perde una figlia, il suo percorso umano è molto interessante, la sua disperazione interiore emerge chiaramente, ma quel che non funziona è il contesto assolutamente irrealistico, una visione edulcorata della Turchia (rappresentata dal poliziotto buono) fuori da qualunque realtà; certe situazioni sono al limite dell’assurdo e anche la messa in scena controllata e la fotografia laccata paiono poco efficaci per raccontare questa sofferenza.
Molto interessante invece è stato il cinese My land- Wu tan di Fan Jian, un documentario che viene alla luce dopo 10 anni di lavoro: le prime riprese che vediamo sono addirittura del 2004 anche se poi il regista ha seguito i protagonisti realmente dal 2010. È uno di quei film che fanno gridare alla giustizia, racconta la vita del contadino Chen Jun, della moglie e dei figli costretti a vivere in baracche di fortuna nella periferia di Pechino, dove la città si sta espandendo con la costruzione di torri residenziali per la nuova  classe media cinese. Chen e sua moglie sono fuori da questo mondo, sono idealisti, rivendicano i propri diritti, cercano alleanze con gli altri lavoratori migranti, hanno in nuce un’idea di solidarietà ottocentesca. Fan Jian ritrae un paese dove le leggi non sembrano essere applicate allo stesso per tutti, mette la pietra tombale sull’idea di comunismo, se ancora si può usare questa parola nella Cina moderna; ne esce un paese individualista, con il denaro che la fa da padrone, tattiche di bullismo, gente costretta a vivere senza elettricità e acqua per piegarsi ai più potenti. Fan Jian ha accompagnato i due attivisti che si ribellano a tutto questo, ha raccontato il loro straordinario impegno per i loro diritti e il  loro sguardo critico verso il potere. Il film ha qualche pecca nel voler raccontare troppo, risente di una produzione internazionale con musica calibrata al punto giusto e tocchi retorici qua e là, ma comunque rimane hoteldallasun film importante, è una storia universale e toccante di due persone che combattono contro forze più grandi di loro, persone che non perdono mai la loro umanità nonostante tutto.
Poteva essere interessante Hotel Dallas che invece ha deluso moltissimo. Nella Romania comunista degli anni ottanta la serie televisiva statunitense Dallas è l’unica finestra sul mondo capitalista, e la popolazione ne è rimasta entusiasta. Anche Ilie e sua figlia Livia sono fan della serie. Il padre prende lo spietato magnate del petrolio JR come modello per le propri commerci che lo porteranno a commettere reati, mentre Livia cercherà fortuna come disegnatrice negli Stati Uniti. Questo film dovrebbe essere un viaggio attraverso la Romania, per mostrarci come il “Dallas-capitalismo” ha plasmato il paese post-comunista, quel che esce non è un documentario ma non è neanche finzione, è un pastiche mezzo sperimentale e artistoide molto pretenzioso e anche noioso.

da Berlino, Claudio Casazza

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