Berlino 2017

Berlino 67: Forum, tre film tra confini, rivoluzioni e proletari neri

Forum è come sempre un rifugio sicuro per iniziare la Berlinale 2017, i primi tre film visti viaggiano tra memoria e presente, raccontando tre lotte per la sopravvivenza, per la libertà e per la speranza. Quello che rimane più impresso è El mar la mar di Joshua Bonnetta e J.P. Sniadecki,el mar quest’ultimo è un straordinario creatore di immagini, è suo il bellissimo The Iron Ministry, visto 3 anni a fa a Torino. Questo film racconta il deserto al confine tra Messico e Stati Uniti: i messicani che vogliono attraversarlo e le guardie di frontiera, ufficiali e non, che lo difendono. È un lavoro visivamente favoloso, filmato in in 16 mm che alterna immagini di natura, fenomeni atmosferici e animali, con le persone e le tracce che lasciano dietro il loro passaggio. È un’esplorazione cinematografica unica, il deserto come mai visto, un panorama di un lembo di terra dai significati enormi. Ci sono almeno tre sequenze da pelle d’oca: le formiche, le piante illuminate dai flash delle torce delle guardie, la canzone Johnny Guitar che spezza il film e ti lascia senza fiato. I registi però non filmano gli esseri umani ma ne raccolgono solo le voci: l’assenza dell’umano è una costrizione? Clandestini da una parte e guardie altrettanto clandestine dall’altra? Credo di sì, e il non vederli è ben rappresentato dal nero, dal buio in cui il film viene avvolto quando ci sono le voci che narrano pezzi di vita, come se la notte superasse la stessa possibilità del cinema. Invece quando c’è il sole, è talmente forte che picchia senza pietà su tutti coloro che attraversano questo deserto, l’orizzonte sembra infinitamente lontano e pericoli mortali si nascondono dentro a questo paesaggio tutt’altro che incantato. Le tracce e resti del passaggio umano si accumulano, si decompongono e diventano insiti nella topografia del paesaggio, rendendo l’assente sempre presente come la vita e la morte, la bellezza e il terrore, la luce ostile e le notti ancora più avverse. Un film che non lascia indifferenti.
For Ahkeem Feature DocumentaryFor akeem di Jeremy S. Levine e Landon Van Soest invece è un classico film da festival contemporaneo: camera a mano seguendo i personaggi. Non è un brutto film ma visto e rivisto: St. Louis, Missouri, non lontano da Ferguson, dove Michael Brown è stato ucciso nel mese di agosto 2014; Daje ha diciassette anni ed è indisciplinata come molti coetanei in tutto il mondo. Però è nera e nella sua scuola di periferia deve passare dal metal detector ogni giorno. Il suo futuro è in bilico perchè è stato espulsa dalla scuola e ha ora solo un’ultima possibilità di tornare in pista. Il film sta addosso alla ragazza, sceglie un punto di vista strettamente personale per raccontare la sua educazione negli Stati Uniti di oggi e così dimostrare che il futuro di una ragazza nera non è facile. Le rivolte nelle piazze e la sua storia di rinascita si alternano in un racconto di speranza abbastanza banale. Il film è palesemente messo in scena e oscilla tra reportage sociale, documentario e finzione, “feature documentary” come ormai si dice, è la deriva del documentario?
Veniamo al film più sorprendente e interessante: Off Frame aka Revolution until Victory di Mohanad Yaqubi. Lo scrittore e poeta palestinese Elias Sanbar diceva “per chi soffre di invisibilità, la telecamera può essere un’arma”, da questo assunto parte lo straordinario film di archivio di Yaqubi che ripercorre i frammenti della rivolta palestinese. E’ un film che combina immagini dei vari tentativi di cinema, propaganda eOffFrame_01 non, messi in piedi negli anni della lotta palestinese, un termine utilizzato per film prodotti in relazione alla rivoluzione palestinese tra il 1968 e il 1982. Sono film che per molti intellettuali, soprattutto europei, hanno rappresentato un modello, si tratta di immagini di un popolo impegnato nella lotta politica contro Israele, che veniva visto da noi occidentale come un modello da seguire per le lotte contro il capitalismo. Per certi versi c’è una certa assonanza con molti film della Raf, il movimento di lotta armata tedesca, che ha messo su pellicola molto del suo pensiero-azione. Ma per i palestinesi questi film hanno segnato la trasformazione della loro identità: da rifugiati a combattenti per la libertà. Lo dice molto bene un giovane Arafat in una di queste opere. Il film riunisce una selezione di spezzoni di film militanti grazie ai festival che li avevano archiviati, poiché gli originali si sono persi nella “diaspora della rivoluzione”. Yaqubi combina materiali di registi, attori e attivisti provenienti da Siria, Italia, Regno Unito, Libano, Francia, Germania, Argentina: Godard, Vanessa Redgrave e molti altri raccontano e lottano coi palestinesi attraverso il cinema. Proprio Godard è il riferimento di un film teorico (godardiano si sarebbe detto una volta) che sconvolge tra finzione e la propaganda, sogno e realtà, in modo da rappresentare una narrazione di un popolo in lotta. Un lavoro notevole che ci fa capire che sono passati 30/40 anni, ma in realtà sembrano essere trascorsi dei secoli.

da Berlino, Claudio Casazza

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