Locarno 2014

Cronache da Locarno67: 8 agosto

locarno creepL’hanno inserito nel fuori concorso, quel limbo grigiastro come una fogna dove galleggia tutto ciò che non si riesce a gestire e che da qualche parte deve pur essere affossato; eppure un posticino, anche di nicchia, in Piazza Grande se lo sarebbe meritato, e per i cinefili più ardimentosi, quelli che osano proporre laddove nessuno ha il coraggio di alzare un dito, persino nel concorso propriamente detto. Stiamo parlando di Creep, opera prima di Patrick Brice, attore e gigione, regista e sceneggiatore, che realizza un POV talmente bizzarro nelle forme da fare quasi paura nei modi, una specie di mockumentary su uno squattrinato regista alle prese con un documentario di addio alla vita commissionato da un malato terminale. Che forse tanto malato non è, almeno nel fisico. Le premesse sono quelle del thriller, giochi di potere, ricatti, mezze bugie spacciate per mezze verità, ma poi Brice si traveste da lupo (nel vero senso della parola) e racconta di aver violentato la moglie, così paludato, dopo che la donna gli aveva intasato il computer con filmati pornografici a tematica zoofila. Siamo nella più pura follia, il pubblico rideva, il regista anche, e alla fine Creep è diventato una metafora malata sul mercato del lavoro, delle immagini, e sulle dipendenze psicologiche che si creano tra persone afflitte dalla più grande nevrosi del contemporaneo: la solitudine, quella malattia che spinge l’individuo a farsi vittima consenziente, e il carnefice a cercare nella vittima un riflesso complementare delle proprie ossessioni.locarno uno

Seconda rivelazione del festival dopo il film filippino di Lav Diaz, Durak (The Fool) di Yury Bykov. Siamo in un palazzo popolare russo abitato dai grandi sconfitti del neoliberismo, ubriaconi, proletari analfabeti, puzzolenti e incarogniti, disabili, pensionati e disperati che si arrabattano con lavoretti saltuari; un alcolizzato pesta a sangue moglie e figlia, fino a quando un tubo non esplode ustionandolo con i suoi vapori. Interviene l’idraulico del condominio, studente di ingegneria, che fa quattro calcoli e scopre che l’edificio sta per crollare. Il giovane corre alla festa del sindaco, donna volitiva ma corrotta, dove tutti sono sbronzi, cantano, ballano e vomitano come se non ci fosse nessun domani. Una goduria. I responsabili della costruzione dei quartieri popolari sono però ladri, magnaccia, furfanti e criminali, e anziché far sfollare i disgraziati dalla struttura a rischio di crollo, cominciano a scannarsi l’un l’altro palleggiandosi le rispettive colpe. Durak sembra leggere l’Italia attraverso gli occhi della Russia, ma il risultato non cambia. La frase più commovente? “Mi hanno offerto le mazzette. Sono russo, non potevo rifiutare”. Togliete l’aggettivo russo e sostituitelo con italiano…

locarno dueUn’altra perla gettata nel mucchio è emersa a sorpresa dal Panorama Suisse, una delle tante sezioni parallele dedicate alle produzioni elvetiche. Viktoria – A Tale of Grace and Greed, a dispetto del titolo blasonato che tiene un piede nel sacro e l’altro nel profano, è un film abbastanza tosto che sfata il mito aureo e italianissimo della Svizzera dove tutti stanno bene e tutto funziona bene. Già, perché quel che non si dice, almeno leggendo la pellicola di Men Lareida, è che il meretricio è sì legalizzato, ma di fatto non è lo stato a gestirlo, ma i criminali, che pagano le tasse e importano legalmente le puttane dall’est Europa. Insomma, è come se in Italia si legalizzasse lo spaccio, ma la droga non te la vendono i farmacisti ma gli spacciatori che aprono la partita iva per non essere pizzicati dal fisco. Bello, vero? Qui c’è una prostituta ungherese, zingara per la precisione, che arriva a Zurigo e ne passa di cotte e di crude tra abusi, soprusi e controlli della polizia. Il film è efficace, ma la musica è talmente inadatta che le scene di violenza, potenzialmente magistrali, finiscono per sembrare il regolamento di conti tra la Manuela Arcuri di Pupetta e qualche suo spasimante dalla lupara facile. In più di sesso ce n’è poco, a parte un bel coito orale fuori fuoco in un parco pubblico, e un film dalla tematica così scabrosa avrebbe meritato una decisiva accelerata sul versante erotico.locarno tre

Maglia nera della giornata a La creazione di significato del regista italiano Simone Rapisarda Casanova. Il nostro connazionale è nato in Trinacria, ha studiato a Toronto ed è tornato in patria per spiegare a noi italiani come girare film impegnati già a partire dal titolo. La storia? C”è un vecchio toscano che abita in montagna, è simpatico, tranquillo e girovaga per i boschi. Fa la legna, fa andare la carrucola, si fa la doccia, spezza la legna e la infila nella stufa. Quindi tutto daccapo, la carrucola, la legna, la stufa, le peregrinazioni nei boschi in un loop che ha fatto andare su di giri gli zebedei della platea. Chatrian ha fatto lo stesso errore dell’anno passato, quando aveva proiettato in Piazza Grande La variabile umana di Oliviero: una zappata su piedi quella con Silvio Orlando, e una mazzata sulla capoccia quella di Rapisarda Casanova. Perché gli italiani si fanno sempre riconoscere?

da Locarno, Marco Marchetti

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