AttualitàSlider

De Oliveira e l’immortalità

ITALY VENICE FILM FESTIVALÈ difficile pensare che Manoel de Oliveira non ci sia più. Il regista portoghese che aveva compiuto 106 anni, e che continuava a realizzare film, aveva abituato tutti a esserci, a battere ogni record, tanto da essere considerato quasi immortale. Immortale è però la sua opera. Un cineasta che ha attraversato tutte le epoche, dal muto fino a oggi, uno dei più grandi di sempre, oltre che il più importante autore del Portogallo, il cui cinema ha contribuito a far crescere, affermare e far conoscere nel mondo. Un uomo fuori da ogni metro di valutazione usuale, così come lo è stata la sua longevità. E dividere il lato anagrafico da quello artistico non è facile. Una carriera sterminata, nella quale si perde il conto delle opere, piena di rimandi, piena di suggestioni letterarie e artistiche. Un uomo dalla cultura immensa, attivo e ironico fino alla fine. Impossibile tracciarne un profilo in poche righe o riassumere la portata di una filmografia così complessa. Si possono solo accennare le tappe principali.
Nato nel 1908 a Oporto, figlio di una ricca famiglia di industriali, si dedicò giovanissimo allo sport, campione di salto in lungo, di scherma e più tardi pilota automobilistico. Studia recitazione, sogna di fare l’attore, debutta come regista nel 1931 con il documentario muto Douro, Faina fluvial dedicato al fiume della sua città, senza dimenticare gli aspetti sociali, il lavoro e la povertà. Seguono altri documentari brevi fino ad Aniki Bóbó del 1942, il primo lavoro di fiction, di fatto un film neorealista. Arriva un momento di pausa per dedicarsi a curare le attività di famiglia, fino al ritorno al cinema nel 1956. Il primo grande capolavoro è Atto di primavera (1963), la Passione di Cristo nel piccolo villaggio di Curalha rappresentata secondo un’antica tradizione.
Solo a fine anni ’70, inizio anni ’80, de Oliveira diventa cineasta a tempo pieno. Una pietra miliare è Francisca del 1981, anno nel quale è anche giurato alla franciscaMostra di Venezia. La Laguna è un passaggio fondamentale per il regista: Leone speciale nell’85 per Le Soulier de satin, Leone d’argento nel ’91 per La Divina Commedia, fino al Leone d’oro alla carriera nel 2004 e tante partecipazioni. Tra i tanti premi, da ricordare anche il Pardo d’onore a Locarno nel ’92, il premio della giuria a Cannes nel ’99 per La lettera, la Palma d’oro alla carriera nel 2008, il Berlinale Kamera al festival di Berlino l’anno successivo.
Nell’82 gira Conversazione privata – Visita ou Memórias e Confissões, docu-fiction della sua vita sotto la dittatura Salazar che aveva sempre osteggiato. Il film, interpretato dallo stesso regista come altri dei suoi, termina con la sua morte.
Nel 1990, ultraottantenne, inizia un periodo molto fecondo che lo porta a realizzare un film l’anno per un ventennio. Pellicole una più importante dell’altra: No, o La folle gloria del comando (Non ou A Vã Gloria de Mandar) nel 1990, La divina commedia, La valle del peccato (Vale Abraão) nel 1993, I misteri del convento (1995), Party (1996), Viaggio all’inizio del mondo – Viagem ao principio do mundo (1997), Inquietudine (1998). La lettera (1999) è il Settecento insieme al rock prima di Sophia Coppola. Un film essenziale, insieme fuori tempo e innovativo come de Oliveira sapeva fare.
Nel 2001, insieme al documentario biografico Porto della mia infanzia, gira Ritorno a casa con Michel Piccoli che aspetta di morire, forse il suo più bello. La morte, naturalmente, torna spesso nei film degli ultimi periodi, muoiono anche i giovani come la ragazza de Lo strano caso di Angelica (2010) con un fotografo chiamato a fissare per sempre l’immagine della defunta.
Negli anni 2000 non si era mai fermato: Il principio dell’incertezza (2002), Un film parlato (2003), Il quinto impero – Ieri come oggi (2004), Specchio magico (2005), l’anno dopo la rivisitazione bunueliana Bella sempre (Belle toujours), Cristoforo Colombo – L’enigma (2007) e Singolarità di una ragazza bionda (2009).
La sua ispirazione era molte volte letteraria, quasi sempre trovata in testi datati, ma de Oliveira ha avuto anche una grandissima attenzione, fino all’ultimo, alla realtà nella quale viveva: la società multiculturale di Un film parlato, dove tutti su una nave parlano la loro lingua ma si capiscono; la crisi economica e la povertà in Gebo e l’ombra (2012, l’ultimo lungometraggio); l’invadenza dei telefonini nelle nostre vite nel cortometraggio Dal visibile all’invisibile.
Ha raccontato la perdizione dell’amore (Amor di perdizione è anche un film completato nel 1978 e mandato in Tv a puntate, oltre che il titolo del libro curato sul-set-di-belle-toujoursda Roberto Turigliatto in occasione della fondamentale retrospettiva sul cinema portoghese al Torino Film Festival) in mille modi diversi, la passione e il dolore, il fuoco e la calma e la disperazione. Passioni pericolose dentro mondi impeturbabili.
Un cinema composto, elegante, raffinato ed essenziale, inquadrature fisse e piani sequenza lunghissimi con una recitazione stilizzata e anti-naturalistica che spesso veniva frettolosamente passato per teatro filmato. Mentre il regista di Oporto faceva puro cinema, fuori dalle regole, fuori dalle mode, ma settima arte come somma delle altre e insieme con caratteristiche uniche.
De Oliveira appare brevemente, ma lasciando segni profondi, anche in film altrui, con la generosità intellettuale che era tra le sue caratteristiche. In primo luogo in Lisbon Story (1994) di Wim Wenders con il suo monologo sull’universo, Dio e l’arte. Ancora nel primo dei cinque episodi della serie Agnès de ci de là Varda (2011) di Agnès Varda, dove si esibisce anche come schermidore e mina Chaplin, e in Conversazione conclusaConversa Acabada (1980) di João Botelho.
Sono solo spunti, suggestioni per scoprire o approfondire l’opera di un cineasta che può sembrare ostico, ma che ripaga la fatica di cimentarsi con i suoi lavori, un regista che in tutti i film, anche nei tanti cortometraggi, ha saputo lasciar entrare il soffio della vita, che dietro la finzione anche esibita ha indagato e mostrato la realtà. Un unicum in tutti i sensi.

Nicola Falcinella

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close