Roma 2012

Festival del Film di Roma 2012: giorno 4

Si entra nel vivo. Oggi mi attendono due prime, altri due film in concorso. Il mio primo italiano. Partiamo da lì. Pappi Corsicato fa storia a sé in Italia. Tutto cominciò nel 1995, quando con I buchi neri salutammo un talentuoso Almodovar nostrano. Da allora ha sempre mantenuto la sua indipendenza, fatta di onirismo e sapori piacevolmente retrò. Questo Il volto di un’altra invece è un po’ deludente. Non che sia un brutto film, o malriuscito. Ma la storia è banalotta, prevedibile. Fare satira del cinismo della società dell’immagine ambientando la vicenda in una clinica estetica non è che sia questa trovata originale… c’è simpatia (il personaggio della Forte), eleganza formale, una cinefilia esibita ma mai pesante, una bella colonna sonora onnipresente come nei film di una volta. Corsicato si affida alla bellezza dei protagonisti ma non basta. E poi la Chiatti è provocante, ma non ha certo la raffinatezza di Grace Kelly. Non è una bocciatura, diciamo una sufficienza; comunque il film più debole visto finora in concorso.

Poi un buco di qualche ora prima dell’appuntamento serale. Vado al bar, prendo un paio di tramezzini. Scrivo qualche riga sul film appena visto. Scopro che a venti minuti dall’inizio della proiezione non fanno più entrare. Faccio un giro. Bevo qualcosa ai tavolini di fronte alla biglietteria. Raccolgo pareri: a quanto pare Corsicato non ha impressionato nessuno. Quindi incontro il gruppetto con cui avevo visto Miike il primo giorno; insieme andiamo a metterci in fila per Marfa girl di Larry Clark. Ora, Larry Clark a me piace, e tendo a difenderlo, anche se ammetto che Ken Park non mi aveva convinto appieno. Il suo cinema ruota attorno a pochi elementi ricorrenti: ragazzi e ragazze della provincia americana che fanno sesso e uso di sostanze. Un cinema basato sulla provocazione e sull’eccesso, e quindi facile da attaccare, ma intenso e schietto fino alla brutalità. Marfa girl comincia bene, c’è il meglio di Clark, che in fondo fa un’operazione di realismo, di amore per la verità a tutti i costi che io gradisco sempre. I suoi ragazzi sono maledetti e sexy, liberi e vitali. Abitano un Eden che finisce dove finisce la giovinezza. Attraverso di loro Clark si rende partecipe (e ci rende partecipi) di questa magia struggente. Ma prima o poi piove la condanna del destino, di una sfortunata condizione sociale e familiare. Purtroppo, come in Ken Park, serve un meccanico crescendo di violenza per risolvere il plot ormai incagliato e condurlo a conclusione. Il cattivo viene ucciso. Fine. Davvero pochi gli applausi, e il regista non la prende bene, raccoglie le sue attrici e si affretta fuori dalla sala. E’ un peccato, perché c’è qualcosa di forte e autentico in Clark. Spero ritorni con una bella storia, che stavolta funzioni fino alla fine. Nel frattempo recuperate Kids.

da Roma, Mauro Coni

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