RecensioniSlider

Frances Ha

frances e sophiaUna cura per la crisi di idee nel cinema americano c’è. Fuori da Hollywood naturalmente. Il cinema indipendente low-budget per forza di cose vive di idee. Linklater si inventa un film lungo dodici anni. Noah Baumbach gira Frances Ha. Film apparentemente semplice e con una trama che si risolve nella registrazione della vita poco sensazionale della ventisettenne Frances, vive invece di una drammaturgia capace di tingere la normalità con coloriture tragiche e comiche al tempo stesso, mescolandole senza programmaticità, per fissare le tappe di una maturazione inevitabile: da una lunga adolescenza alla trasformazione in donna.
Girato in un bianco e nero che ricorda Manhattan di Allen (ma anche Cassavetes), Frances Ha è invece un film di cromatismi accesi dalla tavolozza emotiva della protagonista e delle persone che le ruotano attorno, a cominciare dall’amica Sophie, anima gemella con cui condivide casa e passioni. Un rapporto decifrato già dalle prime immagini del film, fresche e sfrontate linguisticamente in stile Nouvelle Vague, con le due amiche che sembrano ora Jules e Jim, ora Anna Karina e i suoi amici balordi in Bande à Frances-Hapart. Complici e forse innamorate, ma di un amore adolescenziale, quel genere di affetto che cerca superfici specchianti più che la reale specificità dell’altro, cercano riparo nella reciproca identificazione, soprattutto Frances. Per questo, quando Sophie decide di lasciare l’appartamento condiviso per andare a vivere con un uomo nel ricco quartiere di Tribeca, Frances barcolla disorientata, adattandosi a situazioni provvisorie. Come dire: adesso lascia il lettone di mamma e cresci! Ed è proprio sulla provvisorietà che Baumbach insiste, trovando in Greta Gerwig, nuova icona del cinema indipendente e della scena mumblecore (già con lui nel precedente Greenberg e qui co-sceneggiatrice), un’attrice capace di sposare registri umorali diversi, magnifica nel calibrare il suo caleidoscopio di espressioni e movimenti del corpo, goffo nonostante aspiri a diventare una ballerina. La naturalezza con cui passa dagli stati depressivi a una spontanea comicità (non è forse Tatì a a insegnarle i balletti degli inciampi e degli inchini appena abbozzati?) creano un personaggio che non si lascia abbandonare, da abbracciare morbidamente, al limite da consolare negli stati depressivi.
Sophie è la struttura che si contrappone all’aleatorietà del possibile che costituisce la cifra di Frances. La finzione dello specchio si inceppa e Francis è costretta a trovare altra socialità e a prendere in considerazione strade professionali che la rendano autonoma. L’idea di diventare frances_ha_highballerina è un sogno che va rielaborato in un contesto di verità e inserito nello spazio-vita che alloggia tra la passione e il desiderio, lontano mille miglia dal lavoro.
L’amico Benji la definisce infrequentabile, sottolineando decisamente la sua personalità ancora acerba, ma senza nascondere quanto fascino ci sia nel poco “determinismo” in Farances, incapace di farsi una cornice in cui inquadrarsi. Così le scorribande – perché questo diventano – nelle vie di New York (città che torna a farsi amare dopo Cassavetes e Allen, per l’appunto) e le passeggiate a Parigi, che non diventa mai città d’avventura ma semplice e casuale fermata di metropolitana, sostanziano l’anima di Frances, irrequieta, in lotta con il tempo, in cerca di uno spazio abitabile, di un amore che sostituisca la madre-sorella-amante Sophie, che per crescere invece ha smesso di rimboccarle le coperte e ha scelto di misurarsi con l’ignoto, rischiando anche il fallimento.
Frances capitombola tra i quartieri di New York al ritmo di Modern Love di Bowie (torna in mente Leo Carax di Rosso sangue) e sulle note di Constantin che accompagnarono Antoine Doinel quando sparava i suoi 400 colpi. Tutto assume un ritmo che è quello del respiro elettrico di Frances/Gerwig, viaggiatrice con Baumbach in un cinema – il mumblecore – che si libera delle strutture classiche per farsi libertà espressiva e che, citando certi numi tutelari, non scade mai nell’omaggio ma impasta per creare materia nuova. Ci vuole disciplina anche in questo.
Per cosa sta la particella HA del titolo? E’ la cosa più semplice del mondo, ma bisogna vedere il film fino all’ultima inquadratura, bellissima e densa di significati.

Alessandro Leone

Frances Ha

Regia: Noah Baumbach. Sceneggiatura: Noah Baumbach, Greta Gerwig. Fotografia: Sam Levy. Montaggio: Jennifer Lame. Interpreti: Greta Gerwig, Mickey Sumner, Michael Esper, Adam Driver. Origine: Usa, 2013. Durata: 96′.

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close