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Fuochi d’artificio in pieno giorno

fuochi1Toh, per una volta i traduttori ci hanno azzeccato. Bai Ri Yan Hou letteralmente significa Fuochi d’artificio in pieno giorno, che è cosa assai diversa dalla forse più suggestiva titolazione internazionale, Black Coal, Thin Ice. Carbone nero, ghiaccio fine. Ossimoro. Metonimia. Scontro incontro di parole che cozzano come atomi, che determinano strane combinazioni, che producono reazioni esplosive. Corpi tagliati e smembrati disseminati nelle fabbriche di carbone della Cina settentrionale. Un detective mezzo ubriaco che insegue una donna misteriosamente collegata ai delitti. Ghiaccio freddo e neve imbrattati all’improvviso di sangue. Il film di Ynan Diao è soltanto questo, insinuazione, suggerimento, silenziosa esortazione a comprendere ciò che in effetti non viene mai sottolineato. La struttura è quella del noir, con le sue luci e le ombre, le insegne colorate che risplendono nel buio, i corpi avvoltolati nel verde metallico della putrefazione. È un po’ l’aria che si respirava ai tempi de Il tocco del peccato (2013) di Jia Zhangke, con la differenza che qui c’è più introspezione e meno neorealismo, più eleganza e meno attenzione al pulp. Certo Fuochi d’artificio in pieno giorno resta un film enigmatico, fatto di digressioni, cose che si spostano galleggiando alla deriva, silenzi colmati di dolore e paesaggi straziati da subitanei, incontrollabili scoppi di violenza.

fuochi2C’è molta cultura occidentale, qui dentro, come l’onnipresente riferimento a Edward Hopper. Sembra che il pittore americano sia stato una specie di spartiacque nelle arti visive di tutto il mondo: da quando dipinse Nottambuli, nessuno ha più guardato nello stesso modo un bar immerso nell’oscurità, nessuno ha più contemplato la solitudine dell’individuo contemporaneo senza quell’aura di indefinibile vaghezza, di allontanamento dagli affari terrestri. È come se tutto si spegnesse e morisse, nella fotografia, nel cinema, in questi tableaux vivants di uomini maledetti che si uccidono, si torturano, si fanno del male tagliandosi e sparandosi senza alcuna valida motivazione. È una narrazione senza un perché, quella di Fuochi d’artificio in pieno giorno, che termina con questi fireworks totalmente inconcludenti, autoreferenziali, sparati addosso ai protagonisti come una cascata di pioggia incandescente. È una sceneggiatura che divora la storia per farsi epopea del quotidiano, epica del nulla, nulla che diventa riproposizione di sé. Ynan Diao è un formalista, integerrimo e intelligente, che leviga le asperità, aggiusta le posizioni, dispone i suoi personaggi come in una cartolina pop: tutti immobili, à la Lynch, poi una pistola cade da un giubbotto e in men che non si dica succede la carneficina. Quindi di nuovo il ghiaccio, lame che spezzano e uccidono, un carnefice nascosto nel buio, un poliziotto in cerca di redenzione. C’è qualcosa di più noir?

Marco Marchetti

Fuochi d’artificio in pieno giorno

Regia e sceneggiatura: Ynan Diao. Fotografia: Jingsong Dong. Montaggio: Hongyu Yang. Musica: Zi Wen. Interpreti: Fan Liao. Lun Mei Gwei, Xuebing Wang. Origine: Cina, 2014. Durata: 110′.

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