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Gemma Bovery

Martin Jubert, intellettuale di mezza età, se ne va da Parigi stanco e insoddisfatto. Si stabilisce in Normandia per rimettere in sesto la bottega del padre ed ereditarne il mestiere. Martin Jubert andrà incontro alla vecchiaia facendo il panettiere in campagna, in un piccolo paese, dove tutti conoscono tutti. Un giorno arrivano dei nuovi vicini di casa, una coppia di inglesi. Si chiamano Charles e Gemma Bovery. Per via dei loro nomi e per la coincidenza geografica, Martin si convince da subito che il destino dei suoi nuovi vicini, e quello di Gemma in particolare, seguiranno quello dei protagonisti del capolavoro di Flaubert, Madame Bovary.

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Il bovarismo è una declinazione particolare della voglia di fuggire dalla realtà. Spesso ricorrendo a personalità immaginate, attinte dalla letteratura. Ha a che fare con l’insoddisfazione. Non di rado le condizioni ambientali e sociologiche hanno il loro peso. Per esempio, ritrovarsi a vivere in un paesino di campagna dove non succede niente, o quasi.
Per l’ultimo lavoro di Anne Fontaine non servirà andare a scomodare Jean Renoir e il suo Madame Bovary (1933). E nemmeno Chabrol con la sua versione del 1991. La qualità non c’entra, non è un giudizio di valore. E’ che Gemma Bovery non è un adattamento in chiave moderna di Madame Bovary, è proprio un’altra cosa. Se c’è un riferimento letterario è piuttosto quello alla graphic novel di Posy Simmond (id. 2005-2007), da cui il film è tratto. Ci sono sì molti punti in comune con il romanzo di Flaubert, ma ci sono anche molte, moltissime differenze. E le differenze contano di più dei punti in comune. Si potrebbe anzi dire che il film stia tutto lì, nella capacità di accorgersi di queste differenze.
Non parrebbe, in sé, un compito troppo complicato. Ma il nostro Martin Jubert (Fabrice Luchini) in campagna si annoia. Ha una mente da tenere occupata e tanti romanzi letti, e uno in particolare, che gli girano nella testa; un principio di bovarismo, probabilmente. Abbastanza per far confusione tra realtà e finzione. Abbastanza, insomma, per diventare il personaggio ideale di una commedia.
A questo punto mancano solo una bella donna più incline ai sentimenti che alla ragione (Gemma Arterton), un amante giovane e improbabile (Niels Schneider) e un marito un po’ ruvido, un po’ distratto, ma in fondo innamorato (Jason Flemyng). Ci saranno anche i personaggi secondari, monodimensionali come si conviene: la moglie razionale e un po’ esasperata dalle fantasticherie di Martin, il figlio adolescente, l’inglese ricco e antipatico con la moglie snob. Persino il cane, silenzioso e presente, a cui commentare di volta in volta il dipanarsi della vicenda.
Non serve andare molto oltre per descrivere Gemma Bovery, che non ha nessun interesse ad essere niente di più di quello che è: una commedia che punta alla risata educata ed intelligente.
Che non è poco. Anzi.

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Anne Fontaine ha per le mani un buon materiale, e lo sfrutta con abilità. Il gioco con il romanzo di Flaubert le permette di strizzare l’occhio allo spettatore di buone letture, ed è d’aiuto alla sua Gemma, che può così affermare la propria personalità dichiarando la distanza con Emma Bovary. E’ un aiuto non da poco, visto che Gemma, lasciata a se stessa, appare fin troppo in balia dei propri stati d’animo. E’ probabilmente il limite maggiore del film, che non riesce a restituirci un personaggio femminile compiuto fino in fondo. L’epilogo, in questo senso, è quasi emblematico.
Fabrice Luchini sa che tutta la tenuta comica del film sta nella misura della sua recitazione e mette in scena con successo un personaggio intelligente ma testardo, acuto nella battuta ma capace di sviste clamorose. Mai al di là del necessario, è soprattutto grazie  alla sua prova – e alla garbata sensualità con cui la Arterton ha saputo riempire lo schermo – se Gemma Bovery assolve al proprio compito.

Matteo Angaroni

Gemma Bovery

Regia: Anne Fontaine. Sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Anne Fontaine. Montaggio: Annette Dutertre. Interpreti: Fabrice Luchini, Gemma Arterton, Jason Flamyng, Niels Schneider. Origine: Francia 2014. Durata: 99′.

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