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Ida

Ida e ziaBellissima Anna, con quel volto sempre rivolto verso il petto, gli occhi vispi e luccicanti che si levano solo quando attratti da un suono, un luogo, una presenza ancora ignoti. Una fossetta sul mento la rende così seducente, ma il vestire è semplice e austero, tipico di chi si prepara a prendere i voti. Questa giovane novizia sta per consacrare la sua vita a Dio e mai ha potuto pensare o anche solo immaginare di desiderare qualcosa di diverso. Fin da piccola ha trascorso la sua esistenza in un convento, passando giornate identiche, scandite da monotone liturgie, ma allo stesso tempo avvolte da quella serenità e purezza che solo un luogo di preghiera possono infondere. Non ha mai conosciuto i tumulti dell’animo o forse sono lì, che attendono solo di essere scoperti. Il viaggio nel suo passato sarà l’occasione per aprirsi a ciò che ancora è terreno da penetrare, ricerca vorticosa, simile all’immagine di quella scala a spirale che la condurrà nell’appartamento della zia materna Wanda: una donna così diversa e così vicina, sempre in preda alle vertigini dell’alcool, fuma di continuo e nel cuore ha un dolore infinito che finirà per annientarla. Il bianco e nero della pellicola richiama Ida e boyproprio questo percorso a ritroso che le due donne si troveranno ad intraprendere insieme, dal presente di una Polonia comunista sino agli anni terribili della seconda guerra mondiale, quando il terrore minava gli animi di un intero popolo. Anna difatti scoprirà di chiamarsi Ida e di essere ebrea, figlia di un uomo e di una donna uccisi da chi fino a quel momento li stava proteggendo, anche il figlio di Wanda è lì tra quei resti, il rimorso di non averlo salvato è sepolto anch’esso nella terra fredda e fragile che li ospitava.

Il regista Pawel Pawlikowski è attento ai momenti significativi del racconto, con inquadrature “non convenzionali” e lunghi silenzi fa emergere ciò che appartiene all’interiorità dei protagonisti e si sofferma ad osservarli delicatamente, senza alcuna morbosità. Le immagini, come fotografie perfette, si incasellano l’una all’altra e delineano figure che emergono da sfondi mai banali, inserite con precisione geometrica, quasi a comunicare ciò che i personaggi provano e sentono, ma che con le parole tacciono. Una perfetta prova d’autore, che nelle ambientazioni e nei paesaggi ricorda da vicino il cinema di Tarkovskij, la sua poetica intensa, fatta di visioni tese ad inserirsi nella realtà spirituale delle cose. Con questa sua terza opera (dopo My summer of love e Last resort) il regista polacco offre allo spettatore la possibilità di immergersi in una storia, vera ed intensa, nello stesso modo con cui ci si immerge nella lettura di un romanzo, senza fretta, con i sospiri della scrittura.

                                                                                                 Jenny Rosmini

Ida

Regia: Pawel Pawlikowski. Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz. Fotografia: Lukasz Zal. Montaggio: Jaroslaw Kaminski. Interpreti: Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Dawid Ogrodnik, Joanna Kulig. Origine: Polonia/Danimarca, 2013. Durata: 80’.

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