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Il giovane Karl Marx, perché parlare ancora di Lui?

coverlg_marxSiamo nel 2018. A duecento anni di distanza dalla nascita di Karl Marx non si può dire che di lui non si sia parlato. Abbastanza, forse più che abbastanza, forse troppo? Si è parlato di Marx, di marxisti, di marxiani, di marxisti leninisti, evidentemente altra cosa dai marxisti-leninisti; di neomarxismo e di veteromarxismo; di comunismo contro il totalitarismo, ma anche di comunismo come totalitarismo; di comunismo e capitalismo di Stato, di cattocomunismo, anticapitalismo, neocomunismo, in un gioco di combinazioni esaltante quanto quello del bambino che deve scegliere un cono tre gusti più uno con supplemento di panna montata. Che senso ha allora, proprio oggi, solo oggi, la scelta di Raoul Peck? Che senso ha girare un film come Il giovane Karl Marx? Che cosa può esserci ancora da dire, da aggiungere, da chiarire, da precisare, nel marasma di una bibliografia che fa invidia solo all’esegesi biblica?
Per rispondere si potrebbe cominciare parlando di Deliveroo o di Foodora, e dei suoi agilissimi Lumpenproletarien muniti di bicicletta e zaino termico, che recapitano a domicilio pizze, panini e involtini primavera, in una corsa contro il tempo e contro il traffico per un profitto di dieci o venti centesimi (e peggio per chi ci resta secco sotto un tram, la selezione naturale è anche questo). O degli operai di Amazon, velocisti in corsia senza medaglia olimpica, nel prossimo futuro sostituiti da robot e tapis roulant nel tentativo di risparmiare ed efficientare il meccanismo, con prevedibili reazioni luddiste da parte di tutti quei laureati disoccupati privati, così, anche dell’unica (benché misera) fonte di reddito. Oppure, ancora, degli insegnanti italiani e del FIT, programma di formazione triennale il cui acronimo rimanda probabilmente al digiuno salutare che dovranno affrontare grazie ai 400 € mensili corrisposti loro prima del tanto agognato posto fisso (e che posto!).
marxcarlPiù sensato, però, può essere pensare all’invito inoltrato alle scuole milanesi, proprio in questi giorni, dalla Camera del lavoro. Il sindacato dei lavoratori esorta docenti e studenti a partecipare all’evento Marx for Teen, previsto per il 5 maggio prossimo venturo proprio per festeggiare il bicentenario dalla nascita di Carlo Marx. Teatro, musica e introduzione storico-filosofica: tutto molto educativo, intelligente, a tratti edificante. Se non fosse per la precisazione che troviamo in coda: “L’iniziativa sarà aperta dalla proiezione di brevi video prodotti dagli studenti impegnati nel percorso Alternanza scuola-lavoro avviato con l’Archivio del Lavoro Cgil Milano”. Come interpretare un’iniziativa del genere? Forse come un tentativo (meritorio) di inoculare un supplemento d’anima nello sterile meccanismo dell’Alternanza scuola-lavoro? O forse come un’ottima occasione di avvicinare in modo smart, con un tocco di giovanilismo trendy in perfetto stile renziano, il pensiero di un grande filosofo, nonché di un grande economista? O forse il paradosso di un evento che, per celebrare chi denunciò lo sfruttamento della classe lavoratrice, trasforma lo sfruttamento stesso nell’ennesima, imperdibile occasione di acquisire competenze e sviluppare soft skills, in un’opportunità gratuita e – si dice così? – “in contesto concreto” di orientamento post-diploma? Perché un conto è studiare economia, un altro è battere cassa al Mac Donald’s: se non altro ci si abitua subito alle prospettive offerte dall’università di oggi. Insomma, il problema non è più soltanto lo sfruttamento: il problema oggi è che la soluzione stessa del problema ha perso qualsiasi potere solvente e non è riuscita a sottrarsi alla sorte comune, diventando prima stilema, poi slogan, infine merce e feticcio, come direbbe qualcuno (e si pensi a mo’ d’esempio alle magliette con il faccione di Che Guevara o ai pantaloni col risvoltino della gioventù radical e progressista); se proprio non cospira al perpetuarsi dell’oppressione.
E allora, se con Raoul Peck decidiamo di parlare ancora di Marx, non è certo per parlare ancora di marxismo, né per scendere in piazza a far sentire l’ennesima (e autoriferita) voce di protesta, bensì, se così si può dire, per tornare al punto zero. Tornare al giovane Marx per tornare dove tutto è iniziato, buttandoci alle spalle gli -ismi retorici tanto altisonanti quanto vacui e smettendo di pensare l’alternativa possibile nella forma di una “superstizione che mira al contrario”, per usare le parole di Slavoj Žižek. Se, come dice il filosofo pop per eccellenza, “il vero coraggio è ammettere che la luce alla fine del tunnel è probabilmente il faro di un altro treno che ci viene addosso in senso contrario”, allora non si tratta più di cercare, ancora una volta, l’alternativa a, ribadendo così la dicotomia “C&C” (Comunismo&Capitalismo), stantia quanto una linea di moda maschile a stampe fiorate, bensì di andare oltre l’alternativa, scoprendo proprio in essa il volto oscuro di matrice orwelliana necessario alla conservazione dell’establishment. E ripartire da lì, vedendo nel giovane Marx non una ricetta, ma l’urgenza di affrontare onestamente e a mani nude un contesto (il suo contesto), come ormai, oggi, pochissimi sembrano saper ancora fare.


Insomma, ciò che sembra suggerirci Peck con quel sano (magari a tratti pedante) distacco da storico che accompagna tutto il film, è di guardare a Marx per andare oltre Marx: per vedere in lui non un copione, ma storia, che può essere magistra vitae solo in quanto modello etico e non già bolo rimasticato (“la prima volta è tragedia, la seconda è farsa”). Fare non à la Marx, insomma, ma come se si fosse Marx, oggi: perché vestire i panni di Marx, il cappello a cilindro e l’indice puntato contro lo spietato capitalista, sembra un po’ ridicolo.

Monica Cristini

Il giovane Karl Marx

Regia: Raoul Peck. Sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Raoul Peck. Fotografia: Kolja Brandt. Montaggio: Frédérique Broos. Musiche: Alexei Aigui. Interpreti: August Diehl, Vicky Krieps, Stefan Konarske, Olivier Gourmet, Hannah Steele, Alexander Scheer. Origine: Francia/Belgio/Germania, 2017. Durata: 118′.

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