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Io danzerò

io-danzeroMary-Louise Fuller, classe 1862, americana dell’Illinois cresciuta con il padre tra foreste, cavalli e country, sogna di calcare i palcoscenici. Quando il padre viene ucciso in un regolamento di conti, raggiunge a Brooklyn la madre, che ha abbracciato una rigida condotta cattolica e vive castigata con un gruppo di suore. La vocazione per il teatro, considerato mestiere poco decoroso, la porta a forzare i limiti imposti dal genitore. Mary-Louise (interpretata magnificamente da Soko), tra un provino e tante delusioni, trova l’intuizione che segnerà il suo destino: un gesto semplice, una rotazione sull’asse del proprio corpo, una danza pulsionale che non ha nulla di classico e che, con un abito fuori misura, diventa pura coreografia. Con l’aiuto di un americano che si innamora di lei, e con il nome d’arte di Loïe Fuller, lascerà gli Stati Uniti per Parigi, centro della cultura europea, culla delle avanguardie artistiche e meno refrattaria alle novità. La Serpentine Dance, un misto di movimento spiraliforme e giochi di luce sorprenderà il pubblico delle Folies-Bergère e la proietterà all’Opéra, il teatro dei sogni.

danzeroLa danseuse di Stéphanie Di Giusto è un biopic attento a non romanzare eccessivamente il suo personaggio, prima di tutto per non tradire un’epoca, e in seconda battuta per cercare la giusta misura nella descrizione di una donna caparbia che, senza essere una ballerina per formazione, ha sganciato la danza dal classicismo, aprendo alla sperimentazione. La portata artistica del gesto di Loïe Fuller assunse durante la Belle Époque valori molteplici, non solo nell’ambito del teatro e della danza, ma anche come simbolo di una femminilità fuori immaginario: la Fuller iconoclasta, sfrontata nel liberare il proprio corpo dalle strutture dei canoni, la Fuller che disegna coreografie di luce in cui si fa fiore, farfalla, vortice di energia, la Fuller che sfida involontariamente l’arte figurativa e apre alle avanguardie del 900, la Fuller lesbica, ma senza mai gridare l’omosessualità.
La descrizione che ne fa la Di Giusto è appassionante e spettacolare. Le performance sono ipnotiche, un viaggio astratto in una tavolozza cangiante. Ciò che viene trascurato – scelta dovuta al pericolo di una dilatazione narrativa che avrebbe forse sfilacciato il racconto – è l’influenza che la ballerina ebbe sugli artisti dell’epoca a cominciare da Toulouse-Lautrec, che la disegnò cogliendone fascino ed energia. E anche il neonato cinematografo non rimase indifferente alla strabiliante performance della Fuller, che disegnava con precisione le sue coreografie e modellava i suoi abiti, tanto da diventare attrice e scenografia al tempo stesso. Danza cinetica, danza per il cinema.
La regista preferisce cogliere della Fuller l’atto creativo ma anche le fragilità caratteriali, i suoi sforzi sovraumani sotto metri di tessuto ma anche le frustrazioni, specie quando entra in scena la leggiadra Isidora Duncan (Lily-Rose Depp), ballerina di formazione e amante della Grecia che contribuirà in maniera significativa (anche lei) allo svecchiamento della danza classica. Ammaliata dalla sua bellezza, la Fuller ne soffrirà il carisma.


Eppure quel corpo apparentemente goffo vibra e fa vibrare il pubblico, seduce, trasgredisce i tabù, si smarca da un eros convenzionale, diventa sul palcoscenico una macchina di emozioni, mascherando la fatica dell’atto estetico per restituire schegge d’arte visiva, anticipando le sinestesie del Novecento e i sogni di arte totale.

Vera Mandusich

Io danzerò (La danseuse)

Regia: Stéphanie Di Giusto. Sceneggiatura: Sarah Thibau, Stéphanie Di Giusto. Fotografia: Benoît Debie. Montaggio: Géraldine Mangenot. Interpreti: Soko, Melanie Thierry, Lily-Rose Depp, Gaspard Ulliel, François Damiens, William Houston, Louis-Do de Lencquesaing, Amanda Plummer. Origine: Francia/Belgio, 2016. Durata: 108′.

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