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Kreuzweg – Le stazioni della fede

kreuz locaMacchina da presa fissa, inquadratura frontale. Piano sequenza di quindici minuti, lezione di catechismo. Un giovane prete, cattolico, indottrina i suoi studenti con il santo Verbo evangelico. La più brava del gruppo è la quattordicenne Maria (Lea van Acken), che risponde sempre quello che gli adulti vogliono sentirsi dire, che conosce la Bibbia forse ancora meglio della madre, rigida ma fervente cattolica, che controbatte ai quesiti teologici con l’ars oratoria di un teologo medievale. È così appassionata di materie religiose che addirittura, in uno slancio di amore familiare, domanda al sacerdote se sia lecito proporre uno scambio al Signore: sacrificare la propria vita affinché il fratellino sospettato di autismo cominci a parlare…
Kreuzweg è, in tedesco, la Via Crucis. Dietrich Brueggemann, regista con poche cose interessanti all’attivo, concepisce un film sulle contraddizioni della fede, spacciandolo al pubblico da festival per un percorso di santificazione laica. Lo stratagemma ha dato i suoi frutti, visto e considerato l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura; in effetti una delle prime pellicole che salta alla mente è forse Ordet (1955) di Carl Theodor Dreyer, che più e meglio di altri effigiava i confusi confini tra la fede secolarizzata e compromissoria, e kreuz1quella pura di chi invece non vede altro che la bellezza delle cose ultraterrene. Kreuzweg è un po’ tutto questo, lo slancio disinteressato dell’indifesa Maria, che ama per il piacere di amare, che serve per il dovere di servire, e la fede bigotta di un contesto educativo molto esigente: una madre coccodrillo (Franziska Weisz), che divora la propria bambina, proteggendola all’inverosimile ma in verità annientandola con i suoi fondamentalismi religiosi, e un padre assente, tutto preso dal suo lavoro, capace però di assecondare quella moglie terrificante senza il minimo senso della ragione. La fede è soltanto questo, in fin dei conti, un salto nel vuoto, supina accettazione del dogma senza possibilità di critica. La religione in tutti i suoi approcci, persino in quelli laici, non ammette contraddittorio, altrimenti collasserebbe sotto il peso delle sue stesse discordanze.


Ma Kreuzweg è molto altro. È soprattutto un caso clinico di anoressia nervosa. Il martirio di Maria, che si lascia morire di fame, che si spegne giorno dopo giorno nella speranza di guarire il fratello, risponde perfettamente al manuale dei disturbi alimentari e a quel ginepraio di interpretazioni psicoanalitiche di cui hanno scritto studiosi e filosofi del cervello umano. La madre manipola la figlia, e la figlia manipola la madre attraverso le apparenti incoerenze di un atteggiamento servizievole: perseguendo il martirio, ubbidisce alle istanze religiose della genitrice; kreuz2macerando il proprio corpo, rendendolo scheletrico e asessuato, punisce la donna privandola di quel bene su cui ella tanto aveva desiderato comandare. Certo Maria non ha il coraggio di confessare l’insofferenza che ormai da anni ribolle nel suo animo: lo farà invece il suo inconscio, che lavora sotto la superficie della razionalità, che scava oltre le incrostazioni della devozione. Il paragone con Ulrich Seidl è sotto gli occhi di tutti, ma la domanda che Brueggemann ci pone è ancora più nichilista: abbiamo davvero bisogno delle religioni?

Marco Marchetti

Kreuzweg – Le stazioni della fede

Regia: Dietrich Brueggemann. Sceneggiatura: Anna e Dietrich Brueggemann. Fotografia: Alexander Sass. Montaggio: Vincent Assmann. Interpreti: Lea van Acken, Franziska Weisz, Michael Kamp. Origine: Germania, 2014. Durata: 107′.

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