Attualità

La morte di Gastone Moschin

Taglia in due la 74ma Mostra del Cinema di Venezia la notizia della morte di Gastone Moschin. L’allegra euforia del festival amplifica il dolore per la scomparsa di un uomo di cinema, un professionista vero, attore magnifico e versatile, a proprio agio con la commedia all’italiana, ma anche in ruoli drammatici, spaziando dal cinema di impegno civile a allo spaghetti western, al poliziesco made in Italy. Fu il teatro a prestarlo al gastone-moschincinema, come spesso accadeva negli anni del dopoguerra, passando anche per la televisione degli sceneggiati e, in tempi recenti, delle serie televisive (le prime due stagioni di Don Matteo, ma anche Sei forte maestro).
Ma nelle strade del Lido che separano le sale della Mostra, nelle lunghe attese che anticipano i film in concorso, corrono i ricordi di Moschin non solo tra gli over 50, ma anche tra i giovani che Amici miei Milano Calibro 9 li hanno visti in rete con l’intenzione di recuperare dei cult che hanno fatto la storia del nostro cinema. Appunto, Moschin drammatico e Moschin goliardico zingaraccio per Monicelli, l’ultimo “Amico” che era rimasto di quel gruppo di matti che aveva elevato lo scherzo a opera d’arte. Moschin aveva vestito i panni dell’architetto Melandri, il più romantico, il più legato a un’idea poetica della donna, almeno rispetto al cinismo del resto della brigata; e questi panni li vestiva splendidamente ponendosi in contrasto comico dalla parte della vita come incanto. Parafrasando, con sguardo sognante, affermava – amico tra gli amici – che se fossimo nati finocchi saremmo felicissimi.. perché si sta bene tra uomini.
Ma che la maschera comica nascondesse un profilo tragico lo avevano intuito in molti: Carmine Passante (Anni ruggenti), Damiano Damiani (La rimpatriata), soprattutto Pietro Germi, che in Signore & signori gli affida un ruolo intenso di marito irrequieto e compresso da una moglie soffocante. Gli varrà un Nastro d’Argento come attore non protagonista.
Ci piace ricordarlo come Ugo Piazza, perso nello sguardo al cospetto di una splendida, giovanissima, Barbara Bouchet che balla in un night club milanese nel capolavoro di Fernando Di Leo Milano calibro 9. C’era in quel personaggio tutto ciò che era stato e ancora sarebbe stato Moschin, il talento camaleontico di un attore che sapeva incarnare al tempo stesso cinismo e malinconia.

@redazione

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