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L’atomica di Bruce Conner

Nell’ambito della mostra veneziana L’illusione della luce, l’opera più interessante per i lettori della nostra rivista, insieme a Oil Workers di David Claerbout (http://www.cinequanon.it/lillusione-della-luce-a-venezia/), crediamo possa essere la video-installazione che vede in proiezione Crossroads del compianto Bruce bruce connerConner.
Nato in Kansas nel 1933, Conner studia per poco tempo a Brooklyn, per poi trasferirsi alla fine degli anni 50 a San Francisco, diventando una delle icone Beat. Scultore, pittore e regista, è pienamente figlio del ventesimo secolo, concependo l’opera d’arte non come risultato di un processo chiuso, ma come momentanea manifestazione di una progressione aperta ad ulteriori sviluppi. Più che di fotografie, sculture, film, bisogna parlare di oggetti che traducono il pensiero nelle forme molteplici che la materia può assumere, quando il principio alla base dell’atto artistico è il collage. Detto che dalle avanguardie storiche in avanti il collage si è dilatato concettualmente assumendo la forma dell’assemblage, dell’enviroment ambientale, dell’happening (collage di eventi) o veri e propri intermedia, gli accostamenti più o meno casuali di oggetti preesistenti esibisce la volontà dell’artista di ricombinare il reale, dal manufatto concreto alla sua rappresentazione (ad esempio attraverso fotografia e cinema). Opere che subiscono il passare del tempo, che possono deteriorarsi, trasformarsi. La casualità dadaista lascia spazio ad associazioni dal sapore surrealista, per ripensare allo spazio – che sia la tela, un locale vuoto, la pellicola – come luogo in cui costruire un apparato semantico in cui la significazione dipenda dal valore simbolico dei segni: un collant, una bambola, frammenti di abiti, fotografie, segmenti filmici o musicali, semplici suoni. L’idea appunto del frammento di realtà, che via via possa rinviare a temi quali il potere dei mezzi di comunicazione di massa e del loro linguaggio, il ruolo della donna nella società contemporanea, la violenza dell’uomo, l’esercizio del potere, il militarismo.

conner-crossroadsI film di Conner sono altrettanto frammentari, caratterizzati da un montaggio dinamico, molto diverso dai lunghi piano-sequenza di Warhol. Sono spesso esperimenti di found footage, ricombinazione di pellicole preesistenti che cercano nuovi significati. Crossroads, opera del 1976, è una selezione di riprese effettuate dall’esercito americano nel 1946 sull’atollo di Bikini, quando una serie di esperimenti nucleari devastarono un’area immensa del Pacifico. Materiali filmici registrati da 500 macchine da presa trasformati in una sintesi poetica, nonostante l’orrore delle deflagrazioni, che dalla superficie del mare si alzano a fungo per chilometri, soffocando l’aria, impadronendosi delle inquadrature. Riprese da ogni angolazione, le esplosioni arrivano ogni volta inaspettate a rompere la quiete oceanica, inghiottendo le navi che si stagliano sull’orizzonte o che macchiano come puntini la superficie grigia del mare. I bianchi si contrappongono alle tinte plumbee di una materia che non è fumo e non è più solo acqua. La musica minimale di Patrick Gleeson e Terry Riley crea armonici contrappunti che, letteralmente, ipnotizzano lo spettatore, immerso in uno spettacolo terrificante e sublime al tempo stesso. La visione è un rompicapo che cerca soluzione, perché la lentezza con cui la nube stravolge lo sguardo è un enigma figlio naturale dell’irrazionalità umana. La contemplazione confonde e solo a tratti la Storia chiama in causa la coscienza di chi guarda, senza peraltro suggerire possibili elaborazioni.

Alessandro Leone

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