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L’età giovane

leta-giovane-4Ha l’immediatezza di un ritaglio di giornale L’età giovane , che in originale recita Le jeune Ahmed. I fratelli Dardenne sembrano tornati a un intreccio ridotto all’osso (negli ultimi film era semplicemente essenziale). Questo giovane Ahmed ricorda Rosetta, un corridore solitario, deciso a percorrere una strada che non ammette deviazioni davanti all’obiettivo: lei, Rosetta, cercava un lavoro. Anzi, esigeva un lavoro, come se l’equazione lavoro=vita fosse scontata. Rosetta in lotta per un diritto naturale. Lui, Ahmed, punta deciso verso l’affermazione di una fede che non ammette sgambetti, convinto che nell’intransigenza fondamentalista ci siano le verità di Dio e che le parole del Profeta non possano avere altra interpretazione da quella inculcata dal suo imam.
Siamo in Belgio e Ahmed è un musulmano figlio di immigrati che lo hanno cresciuto senza troppi vincoli dettati dalla religione, che non siano quelli universalmente accettati del rispetto per la vita e il pensiero altrui, devoti comunque alla propria millenaria cultura (lingua e tradizioni tenute vive). Il martirio di un cugino amato e l’indottrinamento dell’imam lo pongono via via in conflitto con la madre e la sorella maggiore, che non esita a definire puttana. Convinto dallo stesso imam che la sua maestra di lingua araba sia un’apostata, Ahmed tenta di colpirla con un coltello e per questo finisce in un istituto correttivo. La conoscenza di una coetanea lo turberà non poco.
La forza del film dei Dardenne è nel contesto familiare aperto alle contaminazioni culturali, lontanissimo dalle svolte radicali di tante schegge impazzite in territorio europeo. etagiovaneLa cornice renderebbe dunque sorprendente la facilità con cui Ahmed si lascia plasmare dal cattivo maestro. L’età giovane del titolo ci indirizza verso una possibile chiave di lettura, perché a tredici anni si è fragili e i terremoti adolescenziali iniziano sconquassare corpo e cervello. La famiglia non è più il luogo delle certezze, ma un apparato di regole da mettere in discussione. Ahmed il giovane dunque scivola in moschea e trova risposte semplificatorie a un martirio, quello dello sciagurato cugino, altrimenti inspiegabile. La ragione deve essere superiore: in un paradiso dei puri compreso tra neomitologie strumentali e paure ancestrali che si perdono in narrazioni antiche. Non può che essere questo il senso della sospensione dell’incredulità di fronte alle parole salvifiche e assassine di un predicatore nascosto dietro un magazzino di alimentari, un imam come tanti che predica per arruolare sotto copertura a servizio di un’idea mai messa in discussione. Passaggio orale dunque. Ma basta e avanza. La parola si insinua nelle piccole crepe che la vita apre, destinate a chiudersi senza troppi danni, oppure, se qualcosa va storto, a trasformarle in fratture insanabili. La disperazione della madre di Ahmed balla tra queste due ipotesi, con l’amara sensazione che il figlio abbia preso una china irreversibile. E guarda caso intorno ad Ahmed girano donne che tentano di frenarne la corsa. Una corsa non proprio forsennata come quella di Rosetta, meno dinamica, meno fisica, ma comunque decisa. E a proposito di fisicità: Ahmed nega il corpo in quanto ponte tra sé e gli altri (sia un individuo o un cane), terrorizzato dall’impurità, contiene ogni pulsione fino quasi ad implodere. Ossessivamente e meccanicamente ritualizza le abluzioni. E insieme al corpo, come lo aveva conosciuto da bambino, rinnega il mondo che ad esso era legato: la madre, la sorella, l’insegnante che tanto lo aveva aiutato, a cui ora nega la mano e chiama apostata perché non porta il velo, o perché vorrebbe insegnare l’arabo con la musica e non solo leggendo versetti coranici.
I Dardenne come sempre osservano con apparente distacco, ma hanno ben chiaro il quadro, mettendo a fuoco tanto i piani ravvicinati quanto lo sfondo della vicenda. Eppure Ahmed non ha la forza prorompente di altri personaggi che popolano la loro ormai copiosa filmografia. Qualcosa a livello drammaturgico non funziona come dovrebbe. Il conflitto c’è ma forse manca qualcosa nella svolta che chiude il film, così carica di simbologie a svantaggio di una risposta emotiva carica dell’inquietudine di un quasi adolescente che inizia a provare la solidità delle proprie radici morali.


Ahmed cade da un tetto, come da un albero cadeva fatalmente Cyril nel bellissimo Il ragazzo con la bicicletta (altro film in cui un ragazzino metteva alla prova la resistenza e la moralità di un adulto), salvo poi resuscitare magicamente e restituirsi alla vita. Cadere per Ahmed non è detto significhi rialzarsi, al limite riappacificarsi, comprendere nel dolore di una caduta (forse senza rimedio) di dover tornare a guardare al futuro ripartendo proprio da coloro che aveva ripudiato. Ma se non fosse scivolato dal tetto? Se questo ritaglio di giornale ci avesse raccontato una storia senza ricorrere ad una smaccata simbologia, che immagine finale ci avrebbe restituito?

Alessandro Leone

L’età giovane

Sceneggiatura e regia: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Fotografia: Benoit Dervaux. Montaggio: Marie-Hélène Dozo. Interpreti: Idir Ben Addi, Olivier Bonnaud, Myriem Akheddiou, Victoria Bluck, Claire Bodson, Othmane Moumen. Origine: Belgio/Francia, 2019. Durata: 84′.

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