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Lilli Carati: una vita “contro”

CINEMA: ADDIO A LILLI CARATI, ICONA SEXY ANNI '70Leggendo i numerosi necrologi apparsi in questi giorni sui quotidiani, viene innanzitutto da chiedersi perché molti si ostinino a ridurre la vita Lilli Carati, all’anagrafe varesina Ileana Caravati, ad alcuni parametri ricorrenti, dei vettori di distonia, delle anomalie esistenziali in qualche modo capaci di turbare l’ordine emotivo di una persona. Forse è per via di quel doveroso documentario girato per la Rai da Rony Dapoulos nel lontano 1994 (Lilli, una vita da eroina), in cui la macchina da presa, come antesignana del confessionale più ambito dagli italiani, quello del Big Brother, si allungava sul primo piano della sua vittima, scrutando in quegli occhi appannati dagli stupefacenti, sondando quell’anima ormai annegata nella solitudine della disperazione. Lilli si metteva a nudo, e non era certo la prima volta che lo faceva, ma a quel punto la diva, sempre bellissima nonostante gli abusi, la caparbietà del vizio, la prosperità delle sue dipendenze, appariva come una Gloria Swanson alto-padana, destinata al viale delle rimembranze tra elegiaci cipressi e un posticino nella walk of fame mai davvero riconosciutole. Era un’immagine inconsapevolmente romantica, quella che Dapoulos intrappolava, l’idea di una parabola discendente che si era già conclusa da un pezzo, senza però (forse) che la diretta interessata ne avesse avuto la consapevolezza.carati miss

La verità, non la versione propagandata dai giornali, veicolata dalle chiacchiere di paese, omaggiata dalle vecchie comari di periferia, è che quella di Lilli è stata una vita consona alla propria follia, un’esistenza burrascosa conclusasi in morte con la stessa pervicace purezza ideologica che ne aveva contraddistinto la maturità. In un certo senso la sua è stata una cronologia di ineluttabilità convergenti, forse persino junghiane, quelle tracce di ominosa consequenzialità che partendo da un fatto specifico determinano una catena di interconnessioni ramificate. Tutto comincia (e finisce) a Varese, con una provinciale che non vuole fare la provinciale. Colpa gravissima, per chi cresce da queste parti, ribellarsi alle gite domenicali organizzate dalla parrocchia, all’incubo di una morigerata quotidianità piccolo borghese, prole e pannolini da cambiare. O ti adatti o ti droghi, non ci sono alternative, allora come adesso. E lei non si è mai adattata, aveva altri progetti, voleva lasciare un segno nel mondo che non fosse ciò che gli altri avevano progettato per lei. Voleva diventare Miss Italia. E ci riuscì. Quasi. Nel 1974 fu incoronata Miss Eleganza, medaglia d’argento del concorso, e fu notata dal produttore cinematografico Franco Cristaldi. Il resto è cosa nota. Forse l’eroina è stata il prezzo del successo, il tributo alla sua ribellione, un dazio da destinarsi a una vita che conteneva in sé i germi della sua conclusione professionale. Forse è stata soltanto una deviazione di percorso, un divertissement vacanziero che, prima del previsto, si è trasformato nel proverbiale tunnel della subordinazione fisiologica. Non che sia importante stabilirlo, la sorte di Lilli era già scritta tra le stelle. Se così non fosse stato, non si potrebbero spiegare le numerose collaborazioni con i massimi maestri del cinema di genere, la liaison sentimentale con Pasquale Festa Campanile, che la diresse, tra gli altri, nel celebre Il corpo della ragassa (1979), la presenza pressoché costante sul palcoscenico dei rotocalchi, le riviste per soli uomini, le apparizioni televisive.

carati avere ventCi sono dentro tutti, basta consultare la prolifica filmografia che ogni sito specializzato non dimentica di riportare: Sergio Corbucci, Michele Massimo Tarantini, Lina Wertmueller, Fernando Di Leo e Joe D’amato. Insomma, le punte di diamante della commedia scollacciata, dell’erotico, del cinema popolano e popolare, quel cinema invidiato in tutto il globo e che soltanto Quentin Tarantino, alla fine di questa gloriosa stagione nazionale, saprà valorizzare nel modo migliore. Lilli ha fatto la storia della settima arte, ha reso grande questo paese, l’ha trasformato in un cesso meno puzzolente di quanto incultura e politica, e soprattutto l’incultura della politica, l’abbiano fatto diventare. La sua interpretazione più famosa resta ancora Avere vent’anni (1978) di Fernando Di Leo, pellicola erotica ambientata in una specie di comune sull’onda morente della contestazione sessantottina. Il sesso libero, l’emancipazione dai costumi dei padri, la droga, la promiscuità. È stata la sua pellicola maledetta, tutti gli attori o i registi ne hanno una, quella caduta più di altre sotto le forbici spietate della censura: d’altronde non possiamo farne una colpa agli integerrimi controllori del buoncostume, i custodi dell’etica cristiana, né ai giudici che ne ordinarono il sequestro. La scena finale, un tripudio luculliano di stupri e violenze, con Lilli e Gloria Guida sequestrate da alcuni bruti, l’una selvaggiamente impalata e l’altra bastonata a morte, sarebbe troppo persino per i contemporanei. E poi venne il porno degli ottanta, quello duro e crudo a firma di Giorgio Grand e con la partecipazione di un ancora sconosciuto Rocco Siffredi, fatto di corpi sudati, penetrazioni, secrezioni sparse. Nessuna censura, nessuna pietà, tutto squadernato in bella vista per le voglie pruriginose di una nuova generazione di cinefili. Alcuni titoli? Una moglie molto infedele; Una ragazza molto viziosa, entrambi del 1987. Le motivazioni ufficiali restano l’acquisto della droga. Lilli era ormai divenuta il fantasma di se stessa, lo spettro di un’attrice consumata dall’eroina. Nel 1988 i carabinieri la fermarono nei pressi di Mesenzana, arrestandola per detenzione illegale di stupefacenti (aveva nascosto quattro grammi di cocaina nelle mutandine). Condotta in carcere a Varese, Lilli tentò maldestramente di tagliarsi le vene. Infine la riabilitazione, il ricovero in una comunità, il desiderio di tornare a essere come tutti.carati 2

Ma ormai la sua carriera era tramontata, e nonostante gli ultimi grandi successi di botteghino ottenuti con lo sfruttamento pornografico della propria immagine, la stella cinematografica era comunque destinata a spegnersi. Ritiratasi a vita privata, si concesse ancora qualche comparsata in televisione. Nel 2011 era imminente il suo ritorno su grande schermo, protagonista di un thriller di Luigi Pastore, ma la terribile malattia che nel frattempo l’aveva colpita le impedì di terminare il progetto. Lilli è morta a cinquantotto anni, a Besano. Di lei restano le interpretazioni di una vita vissuta al limite, la capigliatura selvaggia, quel volto dai lineamenti mediterranei, un’icona dell’epoca e una ferita delle nostre anime provinciali. Quali altre stellette del varesotto, in epoca recente, hanno dato tanto quanto lei al mondo dello spettacolo? Vengono forse in mente Cristina Del Basso e Gloria Domini, due ragazzotte che al grande e piccolo schermo hanno concesso rispettivamente le tette e il culo. Ebbene, Lilli ci ha invece messo l’anima. Le istituzioni locali avrebbero dovuto ricordarselo quando la nostra concittadina era ancora in vita, l’appello che lanciamo con questa iniziativa è che almeno possano ricordarselo in morte.

Marco Marchetti

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