Milano FF 2012

Milano Film Festival 2012: sguardi incrociati 2

Ancora sorprese nella sezione “Colpe di stato”

È con Ici on noie les Algériens – 17 octobre 1961 di Yasmina Adi che la sezione Colpe di stato del Milano Film Festival 2012 si dimostra ancora una buona occasione per comprendere il presente a partire da un passato che spesso si è preferito lasciare nell’ombra.

Dopo L’autre 8 mai 1945 – Aux origines de la guerre d’Algérie, Ici on noie les Algériens – 17 octobre 1961 è il secondo documentario realizzato dalla regista francese di origini algerine, presente domenica 16 settembre a Milano in occasione della sua prima proiezione italiana. Yasmina Adi ha scelto, ancora una volta, di confrontarsi con la drammatica storia del popolo algerino, ma non solo. Il 17 ottobre 1961 è infatti anche e soprattutto una data chiave per comprendere la controversa politica coloniale francese, sospesa tra il desiderio tanto agognato da De Gaulle di riportare la Francia a quella grandeur perduta ormai da più di un secolo, l’incapacità di far volgere a proprio favore lo sviluppo della guerra d’Algeria e il dovere morale di garantire sul proprio territorio, alla minoranza algerina, i diritti civili di cui gode ogni cittadino francese.

È proprio per rivendicare un lecito diritto, quello di non dover subire le condizioni discriminatorie del coprifuoco imposto loro dalle autorità francesi, che gli immigrati algerini scendono nelle piazze e nelle vie di Parigi per manifestare pacificamente il proprio dissenso. Ma una decisione unilaterale della polizia francese porta all’arresto di oltre undicimila algerini, al loro ammassamento in alcuni edifici pubblici della città, al rimpatrio coatto di molti, alle torture e alla morte di almeno cinquecento manifestanti, numero che ridicolizza il resoconto ufficiale della polizia che registra soltanto due morti. Una mattanza che non conosce nemmeno la pietà per la morte: molti i cadaveri bruciati, ancor di più quelli gettati nella Senna. È insistendo sull’ossessione delle vedove di non aver dato degna sepoltura ai propri mariti, nonché sul travaglio del dubbio dovuto al silenzio delle autorità francesi, che Yasmina Adi racconta quei giorni piovosi del 1961 non ricorrendo mai alla facile retorica visiva di immagini brutali e insanguinate. Come ci confessa lei stessa in sala, sono stati molti gli ostacoli che ha affrontato in oltre due anni di lavoro: il segreto di stato imposto ai documenti d’archivio, la ritrosia all’esposizione mediatica dei membri più anziani della minoranza algerina ancora residenti in Francia, ma soprattutto le tendenza di ognuno dei testimoni oculari della vicende alla rielaborazione degli eventi. Ici on noie les Algériens – 17 octobre 1961 riesce ciononostante a porsi come la risposta migliore a ogni negazionismo, perché basato su un’instancabile ricerca d’archivio e sulla ricomposizione di oltre trecento interviste, minuzioso lavoro di due anni che con equilibrio ricorda anche le proteste di molti francesi contro le violenze della polizia. Il risultato è un’opera che non insegue mai l’intrattenimento, ma che con tutte le sue forze cerca la verità su quel giorno offrendone un ritratto impietoso: evento tragico per gli algerini, il 17 ottobre 1961 finisce per esserlo ancor più per la “civilissima nazione francese”, che peraltro, di lì a poco, sarà costretta a concedere l’indipendenza all’Algeria e a far cadere nel dimenticatoio gli atti vergognosi di quei giorni. Un’esortazione a scavare nelle nostre radici, anche in quelle apparentemente immacolate dell’Occidente del secondo Dopoguerra. Senz’infamia e senza lode dal punto di vista strettamente cinematografico, il film ha però il merito di saper porre sullo schermo il rigore e la sobrietà della ricerca storica – e non è cosa da poco.

dal MFF, Luca Scarafile

Incontri italiani

Ancora MFF. Questa volta, un po’ per curiosità, un po’ per ambizione di completezza, la scelta è ricaduta su altre due sezioni del festival: Incontri italiani e The outsiders (di cui si riferisce nella terza tappa di “Sguardi incrociati”).

Due gli “incontri italiani”, con due registi accomunati dal fatto (e forse solo da quello) di lavorare entrambi in Francia, pur essendo entrambi di origine italiana. Innanzitutto Cosimo Terlizzi, che ci ripropone, nella sua versione integrata e restaurata del 2011, Aiuto! Orde barbare al Pratello, documentario risalente al lontano 1996 che mostra in presa diretta l’esperienza bolognese delle case occupate di via del Pratello. Un nuovo modo di abitare, di condividere, di fare musica, arte e cultura, ma anche relazioni complicate con gli abitanti del quartiere, fino allo sgombero definitivo: questo ci racconta il documentario, e quel che forse vorrebbe chiederci il regista, occupante anch’egli, è di guardare con lui dall’interno, per dissolvere ingiustificate paure e sterili pregiudizi. Purtroppo però, non sembra funzionare. Se l’obiettivo fosse stato puramente informativo, allora avremmo potuto ritenerci soddisfatti, nonostante la durata decisamente eccessiva del docufilm, stiracchiato a destra e sinistra con inquadrature troppo fisse e troppo lunghe, peraltro ripetute. Ma di certo ciò che non sorge nello spettatore è l’empatia, forse per colpa di una distanza temporale ormai incapace di suscitarla, forse per i caratteri alternativi di un’esperienza che a noi, quasi vent’anni dopo, tanto alternativa non sembra più. Niente stupore o meraviglia allora davanti ad un fenomeno che, senza ombra di dubbio, abbiamo già visto tante, tantissime volte, e di cui possiamo dirci oggi, quando quell’alternativismo è fin troppo spesso diventato canone, decisamente annoiati. Forse il problema non è il documentario in sé e neanche il suo sentimentalismo assolutamente contingente, ma il nonsenso di riproporlo oggi.

Decisamente più piacevole, invece, la proposta dei fratelli Governatori, che approdano al MFF con Bagni 66, film aggraziato e gradevole come vuole la scuola francese. Una storia semplice, senza grandi avvenimenti, una storia in cui si incrociano crisi economica e crisi esistenziale, sullo sfondo di un intreccio di legami profondi e incontri effimeri. Il tutto ad illustrare la vita monotona, quasi rituale, di un padre e di un figlio che gestiscono uno stabilimento balneare a Senigallia. Buona l’idea, buone le tempistiche, buono l’equilibrio tra parole e silenzi, ma ciò che resta alla fine è sostanzialmente un’intenzione, peraltro poco definita, diremmo quasi un po’ confusa. Un buon potenziale allora, ma ancora tutto da sviluppare, sicuramente con ottime possibilità di riuscita. Per il momento, però, il film ci sfiora e non ci tocca, e sostanzialmente ci risulta un po’ insipido e ci sa tanto di occasione mancata.

dal MFF, Monica Cristini

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