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Nemo propheta in patria. Kim Ki-duk e la Corea

Il miglior modo per celebrare il primo regista coreano vincitore di un Leone d’Oro? Non celebrarlo. Quando si parla di Kim Ki-Duk non sono pochi i coreani a storcere il naso. Trionfatore dell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Kim Ki-duk si porta a casa probabilmente il riconoscimento più importante di una carriera cinematografica iniziata nel 1996, costellata da tanti successi soprattutto internazionali. Come lui stesso ha ricordato durante un’intervista a Venezia dopo la proiezione di Pietà, “Kim Ki Duk è il regista famoso in Europa”, ergo non in patria. E neppure l’ambito riconoscimento è riuscito a far cambiare idea ai tanto esigenti compatrioti, la cui attenzione è stata totalmente catalizzata dalla scelta del look del regista non propriamente da tappeto rosso con tanto di cartellino prezzo (vestito tradizionale da 1.200 euro e sneakers da 300 euro per di più consumate), mise riproposta durante tutti i giorni del festival, premiazione finale compresa. “E’ uno sbruffone. Lui che critica tanto il denaro, che con Pietà vuole farci riscoprire il valore vero della vita, poi va in giro con dei vestiti si tradizionali, ma costosissimi. Perché? ” si legge in qualche articolo sui web coreani.

Kim Ki-duk è un regista che si è fatto da sé. A 15 anni lascia la scuola e va a lavorare in fabbrica (niente università… sacrilegio in Corea!); va a studiare pittura a Parigi e vive chiedendo l’elemosina per le strade; comincia a lavorare come regista senza nessuna preparazione tecnica e riesce ad arrivare più in alto di molti altri suoi colleghi; trascorre un periodo in tenda su una montagna isolata e si riprende, mentre in lacrime fa i conti con la sua solitudine. Celebrare il boom sociale ed economico che la Corea sta vivendo non gli interessa, anzi preferisce concentrarsi sulla vita di vagabondi, prostitute, gangster, omicidi, che in nome di quel benessere vengono tagliati fuori dalla comunità. C’è chi dice lo faccia per ripicca nei confronti di una società dove non è riuscito a trovare il suo spazio. Forse è anche così, o forse ci si dimentica che la società in questione rifiuta quelli che come Kim fanno fatica ad inserirsi in un sistema sociale prefissato dove o sei dentro o sei fuori. Scoppia inevitabilmente lo scandalo: “La Corea non è quella vista nei suoi film. Non vogliamo che all’estero sia vista in quel modo”.

Da un lato un paese che cerca di costruire un’immagine di società solida che lavora all’insegna del benessere nazionale; dall’altro un regista che rifiuta quest’immagine e dà voce a chi come lui, non accettando nessun tipo di convenzione, vive ai margini di una società che lo guarda indignata.

Kim Ki-duk vince il Leone d’Oro a 52 anni col suo 18simo film. Sono passati 16 anni dall’uscita di Crocodile, e da allora tante sono le esperienze e i riconoscimenti ricevuti (uno su tutti, nel 2004, il Leone d’Argento per la Miglior Regia a Ferro 3). Recentemente lo si vede più in giro, più partecipe a una vita pubblica fino ad oggi rifiutata: presenze nei Tv Show, incontri col pubblico alle proiezioni di Pietà. Probabilmente è arrivato il momento di far pace col suo pubblico, che dopo critiche infinite sembra intenzionato a tendergli una mano.

Secondo le fonti coreane, sarebbero circa 300 mila fino ad oggi gli spettatori di Pietà, e se pensiamo che qualche hanno fa Kim aveva addirittura dei problemi a distribuire i suoi film in patria non possiamo non dire che si tratti di un bel risultato.

Al suo ritorno da Venezia è stata anche preparata un festa in suo onore per celebrare la vittoria alla quale hanno partecipato personalità importanti del panorama cinematografico coreano e amici del regista, come Jo Jae-hyeon (il suo Bad Guy) e Im Kwon-taek (il famoso regista di Seopyeonje). L’evento ha naturalmente attratto l’attenzione dei fotografi. Protagoniste sul web? Le sue scarpe, ovviamente.

Roberta Silva

 

KIM KI-DUK AL TALK SHOW COREANO DO DREAM

http://www.youtube.com/watch?v=hLeHFbM3ro4

 

 

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