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Pecore in erba. Antisemitismo “al riso”

pecoreDopo l’apprezzata presentazione a Venezia nella sezione Orizzonti continuerà a far parlare di sé Pecore in erba, primo lungometraggio di Alberto Caviglia che affronta in chiave ironica il tema, tuttora spinosissimo, dell’antisemitismo. Questo surreale mockumentary ricostruisce la vita strampalata di Leonardo Ziliani, noto attivista per i diritti umani che ha combattuto strenuamente contro un male sempre più diffuso: il preoccupante fenomeno dell’antisemifobia. Allergico agli ebrei e ossessionato da un subdolo complotto pluto-giudaico-massonico che ha già condotto all’assassinio di Kennedy, Luther King, John Lennon ma anche dell’indifesa mamma di Bambi, Leonardo le ha provate davvero tutte, fin da bambino, per estirpare il nemico semita dalla nostra società. Dalla stesura di una Bibbia da cui è stata eliminata la presenza degli ebrei, alla creazione della linea di abbigliamento Baci&breacci, alla diffusione di giochi da tavolo quali Ghettopoli e Scarabreo questo giovane italiano, ovviamente appassionato di Lars von Trier, ha collezionato un successo dietro l’altro, diventando facilmente l’eroe di una nazione che ora è sconvolta a causa della sua improvvisa sparizione.

Pecore in erba, titolo che poi non è altro che l’irriverente anagramma di “ebreo trippone crepa”, senza dubbio diverte, provando a farci capire quanto radicato e inconsapevole sia ancora oggi l’antisemitismo. Lo fa chiamando a raccolta personaggi mediatici di lungo corso, da Fazio a Mentana, da Augias a Freccero, da Linus a Elio. E perché, si sa, dalle pecore alle capre il passo è breve, ecco allora anche l’onnipresente Vittorio Sgarbi e con lui prestigiosi esponenti del mondo cinematografico, da Tinto Brass a Gianni Canova. Presenze illustri che sembrano suggerire quella consapevolezza un po’ radical chic che pervade tutto il film: quella consapevolezza che osanna l’ironia come lo strumento più efficace per smascherare i nostri pregiudizi. E fin qui tutto bene. Il problema, dirà qualche spettatore, è che non sempre di ironia si tratta, più spesso di sano umorismo, talvolta di goliardia, altre ancora della più genuina demenzialità. Fin qui, diranno poi gli osservatori più open-minded, ancora tutto pecore-in-erbabene. Rimane però il problema di una sceneggiatura altalenante, non sempre all’altezza delle intenzioni, ma soprattutto quello di una chiave di lettura alla fin fine difficile da trovare. Se infatti il film ci vuole far riflettere su quanto sia facile ridestare la piaga dell’antisemitismo o rinvigorire diffusi sentimenti antisionistici, ci riesce solo in parte. Se vuole ricordarci come anche le più paradossali convinzioni possano sempre tramutarsi in vincoli di aggregazione sociale, ci riesce ancor meno.  L’inconsueto esperimento di Caviglia accenna la riflessione su un tema così complesso, ma non va abbastanza a fondo (e, sia chiaro, sarebbe stato possibile farlo, non facile, anche con le armi dell’ironia). Diciamolo, la reazione del pubblico a Venezia, il clamore destato, la presenza di una certa intellighenzia pop mediatica contribuiscono a rendere accattivante la paradossalità di questo falso documentario. Del resto il film ci fa sorridere e sarebbe grottesco condannarlo assumendo toni moraleggianti. Eppure Pecore in erba non sembra distaccarsi molto da un originale prodotto televisivo in cui non si presta troppa attenzione a una delle possibilità più feconde del cinema, quella di guidare la riflessione attraverso la visione, anche quando si scelgono i toni scanzonati dell’ironia.

 Luca Scarafile

Pecore in erba

Regia: Alberto Caviglia. Sceneggiatura: Alberto Caviglia, Benedetta Grasso. Interpreti: Davide Giordano, Anna Ferruzzo, Omero Antonutti, Bianca Nappi, Lorenza Indovina, Francesco Pannofino, Tinto Brass, Gianni Canova, Kasia Smutniak. Origine: Italia, 2015. Durata: 87’.

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