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Peter Fonda, l’addio di un ribelle

peter-fondaE’ sempre così quando muore un attore che è stato un simbolo, si perde il contatto con l’uomo (se mai può esserci contatto vero con il pubblico) per confonderlo con ciò che ha rappresentato attraverso la finzione. Il racconto che Peter Fonda – morto a settantanove anni per le complicazioni di un tumore ai polmoni – ha lasciato di sé è distillato nell’immagine di Wyatt, il “Capitan America” che cavalca un chopper sulle strade che dalla California portano in Louisiana. Easy Rider è stata la pietra miliare nella carriera di Peter Fonda, e anche in quella di Hopper (nonostante altre regie e tantissime interpretazioni), perché lo è stata per la storia del cinema, uno di quei film che rischiano di inchiodare un attore in croce. Per Fonda, figlio di Henry e fratello di Jane, un po’ è stato così, identificato con l’America ribelle che quel film, ancora oggi a cinquant’anni dalla sua uscita il 14 luglio del 1969, ha rappresentato in tempo reale nel mezzo di una tempesta sociale che non fu solo costume ma battaglia culturale. Peter Fonda diventava, con Hopper e Nicholson, l’affermazione del desiderio di libertà che si portava dietro tutte le istanza giovanili dell’epoca, sfidando la chiusura di una società patriarcale, castrante, che nel sud aveva radici profonde. Fonda, un po’ Capitan di una nuova America e un po’ Wyatt Earp, mito del west senza frontiere, era diventato icona, tutt’uno con la sua Hydra Glide del ’49. Se non smise di correre all’ora, ucciso da un finale tra i più beffardi e drammatici che il cinema ricordi, non smette di correre adesso, a mezzo secolo di distanza, per nulla segnato dalle tracce del tempo.

A. Leone

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