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Servirebbe una colletta

Ogni tanto conviene ribadirlo. Anche se in poco più di due anni di vita sul web Cinequanon è stato a Cannes, a Berlino, a Locarno, a Tel-Aviv, a Parigi, a Venezia, Torino, Bergamo, Roma, Pordenone, Bologna, per seguire festival e manifestazioni di grande interesse, è bene ricordare che nasce in un cineclub, Filmstudio 90, in una città, Varese, e che il suo papà era cartaceo e quadrimestrale, con l’idea di riflettere sul cinema d’essai e sui luoghi che quel cinema lo promuovono, anche in relazione con il territorio. Poi l’aggiornamento quotidiano e la necessità di pubblicare attualità hanno modificato l’impronta editoriale. Senza dimenticare quindi l’attività di casa nostra, la roccaforte Filmstudio 90, senza trascurare il territorio e le iniziative culturali, ci sembra doveroso tenere io stodesta l’attenzione a ciò che di interessante avviene oltre i confini regionali, accostando il micro con il macro, per leggere le trasformazioni in atto: la digitalizzazione delle sale, i flussi di pubblico in determinati periodi dell’anno, le risposte a certo cinema, formule innovative per attirare spettatori in sala.
Succede così che in una stagione non certo avara di film importanti, ma incapaci di riempire le sale (mi riferisco prevalentemente ai film d’essai), arriva sullo schermo Io sto con la sposa e fa il botto. A Varese ci tocca mandare a casa chi era in fila, cosa che non succedeva dalle proiezioni de Il giardino dei limoni (altro fenomeno inaspettato). In un clima di recessione e di incassi magri, con la spesa del digitale sulla schiena, si prende e si porta a casa col sorriso stampato sulla bocca. Cercare di immaginarsi quanto incasserà un film o se stanerà o meno pubblico nuovo (esercizio settimanale per chi gestisce sale come la nostra) è inutile. Speri sempre di aver fatto bene i tuoi calcoli. Il distributore ipotizza, l’esercente prende e prega.
Io sto con la sposa ha però superato ogni più ottimistica prospettiva di incassi. Perché? Chiamatelo documentario, reportage, cinema del reale, non è comunque un racconto semplice. Il film, firmato da Gabriele Del Grande, Antonio Augugliaro e Khaled Soliman al Nassi, cioè un regista, un giornalista e un poeta, racconta di quanto siano discriminate alcune popolazioni prive del diritto alla mobilità, della libertà di sconfinare e tentare di vivere altrove. Ma al di là del tema, delle scelte linguistiche e stilistiche degli autori, la ragione che spiega il successo di pubblico a Varese è da rintracciare altrove: nel finanziamento dal basso, il cosiddetto crowdfunding. Dopo aver finito le riprese – sostanzialmente la documentazione del viaggio che ha portato da Lampedusa alla Svezia, inscenando un corteo nuziale per attraversare mezza Europa – per la post-produzione si è ricorso alla raccolta fondi sul sito Indiegogo, la cui sede legale è in California. Il crowdfunding ha attualizzato la pratica dell’azionariato diffuso (un esempio: così Lizzani riuscì a portare a termine Achtung! banditi!), ricorrendo al web e al protagonismo degli utenti della rete. In tanti, anche a Varese, hanno visto nel progetto filmico qualcosa di interessante in potenza. Sta di fatto che non solo il film è stato chiuso in tempo per l’iscrizione a Venezia 71 (presentato poi fuori concorso, sezione Orizzonti), avendo raccolto la ragguardevole somma di 98.000 euro, ma ha portato in sala chi ha creduto nel progetto e lo ha finanziato con una donazione anche minima, diventando “co-produttore”. Questi sottoscrittori hanno poi chiamato amici e conoscenti, hanno invitato attraverso i social network altri utenti, sono riusciti quindi a riempire le sale dove il film è stato in programmazione. Partecipazione e protagonismo 2.0. Ma un crowdfunding per le monosale in crisi?

A.L.

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