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Sleeping Beauty

sleeping-beautyOltreconfine: i film che non ci fanno vedere

Sleeping Beauty

Regia: Julia Leigh. Sceneggiatura: Julia Leigh. Fotografia: Geoffrey Simpson. Montaggio: Nick Meyers. Musica: Ben Frost. Interpreti: Emily Browning, Peter Carroll, Rachael Blake, Eden Falk, Henry Nixon, Chris Haywood. Origine: Australia. Anno: 2011. Durata: 100 min.

 

La sessantaquattresima edizione del Festival di Cannes ha presentato in concorso ben due film sulle case di tolleranza, ovvero L’Apollonide di Bertrand Bonello e questo più chiacchierato Sleeping Beauty della scrittrice australiana Julia Leigh, qui alla sua opera prima. La pellicola della Leigh, pupilla di Jane Campion, non è piaciuta a nessuno, eppure (ri)vedendola a qualche anno di distanza dalla kermesse francese, si scopre molto più meritoria di quanto le frettolose stroncature l’abbiano fatta apparire. La storia è quella di una studentessa universitaria, Lucy, che per sbarcare il lunario reinventa la propria identità in una serie di lavori particolari: cavia da laboratorio, escort in locali alla moda e soprattutto meretrice per ricchi vegliardi impotenti. La giovane si reca in una grande magione di campagna, si fa drogare, e una volta priva di coscienza trascorre la notte, nuda e glabra, accanto ai clienti che possono abusare di lei come meglio ritengono. L’unica regola è astenersi da rapporti che includano la penetrazione, cosa che tra l’altro non procura problemi a nessuno, perché la ragazza dorme e non si accorge di nulla, mentre gli uomini che a turno le giacciono accanto non possono o non vogliono spingersi fino a quel punto.sleeping 1

La pecca principale della pellicola è di sicuro la sceneggiatura, inerziale, macchinosa, piena di digressioni che francamente non si spiegano né alla luce di particolari scelte registiche, né di intuizioni psicoanalitiche o simboliche. Per tutto il resto, il film della Leigh è un capolavoro di rigore formale, coltissimi riferimenti alla pittura, studi di composizione scenografica che ben pochi registi possono vantare. E tutto questo in mano a un esordiente non può che suscitare ammirazione. A cosa si ispira la Leigh per dare un senso alle sue immagini? Alle bellezze preraffaellite di Waterhouse, alle pelli sensuali ma delicate di un Ingres svuotato dai cascami orientaleggianti, alle bella fabella di Falero o alle forme sinuose ma equilibrate di Cabanel? Forse a tutti questi, forse al manierismo di Bronzino o al folclore della Bella Addormentata e le sue seguaci: l’erotismo della pellicola è infatti più simile alla delicatezza di una fiaba in cui il desiderio è soltanto accennato per piccoli tocchi, appena mostrato, suggerito nelle posture, nella nudità, nella bellezza e mai nella pornografia di scelte più ardite. D’altronde è la purezza dell’inquadratura quella che la Leigh cerca in modo ossessivo, quella stessa purezza che avvolge e caratterizza i racconti di formazione che al solito si rivolgono all’infanzia, ma che qui diventano i contes moraux libertini per un pubblico di adulti. Gli incontri tra la bella Lucy e i suoi amanti avvengono d’altronde in uno spazio volutamente retrò, fatto di velluti, broccati, passamaneria e utensili da collezionisti. Sembra di essere in una dimensione incantata, collocata fuori dal tempo, in un luogo immaginario in cui gli impulsi della fantasia costruiscono un microcosmo fatto di possibilità irrealizzate.

sleeping 2La scelta della protagonista meriterebbe una trattazione a parte: Emily Browning, già vista in Lemony Snicket, incarna alla perfezione l’idea forse lombrosiana di fanciulla infida e maliziosa, abilissima a perseguire i propri interessi economici vestendosi, a seconda dell’occasione, da ragazza bisognosa, da studentessa dolcemente infantile, da spietata prostituta capace però di mantenere un tocco di innocenza dinnanzi a quello stesso mondo vizioso che è costretta a frequentare. Insomma, una gatta morta dal fisico mingherlino, senza seno, senza curve, una bambina cresciuta troppo in fretta in un mondo anziano, stanco e abbattuto che vede in lei il sogno dimenticato della propria gioventù; e proprio il fatto che non possa essere violata la rende ancora più appetitosa agli sguardi lascivi e melanconici dei suoi clienti. Non c’è una vera e propria spiegazione alla regola, se non quella che la stessa tradizione presenta: il sonno della dormiente è sempre metafora della sua presunta condizione di illibatezza, dalla quale si risveglierà soltanto in seguito al primo rapporto sessuale. È così per la Bella Addormentata o per la Brunilde della tradizione norrena, circondata dal fuoco sacro di Wotan e riportata alla vita dal prode Sigfrido.sleeping 3

La Leigh non ha troppe pretese freudiane, e così il suo film è più un trattatello cripto-filosofico che un addentrarsi nel ginepraio analitico della psicologia. Ciononostante Sleeping Beauty è comunque un lavoro almeno in (larga) parte riuscito, che presenta in modo efficace un carattere femminile capace di mutarsi al proprio desiderio e adattarsi a quello degli altri. Il giorno rappresenta la dimensione ordinaria dell’esistenza di questa studentessa prostituta, mentre la notte si trasmuta nel luogo ideale in cui proiettare le fantasie, le pulsioni, le brame di dominio e sottomissione. Che poi sono quelle di anziani possidenti, eleganti uomini d’affari in pensione che si dilettano a farsi servire a tavola da cameriere svestite e a citare le opere letterarie dell’austriaca Ingeborg Bachmann. Prima di coricarsi col fiore incorrotto della loro adolescenza, prima di (non) possedere la propagazione di un’allucinatoria chimera.

Marco Marchetti

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