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Still Alice

Un colpo dritto al cuore. Un urlo di straziante disperazione e un sorriso che cela la triste consapevolezza dell’impotenza; questo il regalo di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, registi e sceneggiatori di questa più che riuscita trasposizione del romanzo Perdersi, della neuroscienziata Lisa Genova.
La Dott.ssa Howland (Julianne Moore), stimata prof.ssa di linguistica presso la Columbia University, è la protagonista di questo toccante progetto cinematografico, ritratto di una vita sconvolta dalla diagnosi di una rara forma di Alzheimer presenile e familiare.
article-2586316-1C792B6500000578-950_634x810 La sceneggiatura del film non è delle migliori, anzi, è piuttosto semplicistica e a tratti sbrigativa, ma è una lacuna che viene egregiamente colmata dalle interpretazioni della Moore e da una stranamente espressiva Kristen Stewart, nei panni della figlia di Alice, Lydia, archetipo di un mondo sognante e astratto, racchiuso in una personalità in netta contrapposizione all’ideologia materna.
Siamo a New York, e qui rimarremo per tutta la durata del film, guidati dalla staticità della narrazione ad assistere al lento frammentarsi della speranza, violentata dall’irruzione di un buio troppo fitto perché un filo di luce possa oltrepassarlo.
Il mondo di Alice sta crollando su un campo di battaglia sconosciuto, preda di un nemico superiore e inattaccabile, ma quel che è più importante è lo scenario di muta disperazione che circonda Alice.
Le grida in lacrime di una spettacolare Julianne Moore dirigono la nostra attenzione alla figura del marito (Alec Baldwin), troppo debole per sopportare il peso di una tale disgrazia e incosciente del valore del tempo che rimane ad Alice, e ai figli, che, tralasciando Lydia, non sanno come gestire una situazione che esula dal controllo umano.
Ormai è troppo tardi, Alice è stata abbandonata e poco importa quanto possa urlare nella cella di isolamento alla quale è condannata, nelle profondità di un’anima che a quanto pare nessuno sa leggere.
Il film non è finito, ma un senso di tristezza già ci assale. Quali leggi umane permettono di anteporre il tempo, il denaro o una carriera alla propria madre o alla compagna di una vita? L’ingiustizia che viviamo come facenti parte della pellicola è abbastanza potente da procurarci un brivido lungo la schiena, speranzosi che la salvezza, non importa come, possa manifestarsi.
Julianne Moore, Alec Baldwin e Kristen Stewart seguem gravando o longa Still Alice em Nova Iorque In quel preciso momento, mentre attendiamo che lo schermo sveli una soluzione, Lydia si rivela la scialuppa alla quale così intensamente chiedevamo aiuto.
Alice ha ormai perso quasi ogni capacità linguistica e motoria, ma è ancora un essere umano, prova ancora emozioni; lei è “ancora Alice – Still Alice”, ma nessuno lo capisce al di fuori di quella figlia ribelle e riservata.
Improvvisamente siamo in salotto; Lydia sta leggendo alla madre una delle commedie che dovrà recitare ed Alice, come noi, rimane in ascolto, aspettando col sorriso la fine della lettura.
Torna il silenzio, Lydia ha smesso di leggere e, nel momento di maggiore potenza emotiva dell’intera pellicola, sopraggiunge la domanda che rivela l’essenza stessa della narrazione: “Mamma, ti è piaciuta? Di cosa parla?”.
Abbracciando l’emozione dell’ultimo minuto del film, spostiamo lo sguardo commosso sul volto di una ancora sorridente Julianne Moore che, con difficoltà, riesce ad articolare una sola parola, “Love”.
La risposta è un semplice inno alla vita: “Sì mamma, parla d’amore”.
Così, nell’inquadratura attenta e precisa di una fotografia di livello, si chiude un’opera d’arte di rara e dolce sensibilità, espressione della vittoria di un’instancabile voglia di vivere, un delicato richiamo all’importanza di ogni singola giornata, di ogni singola ora, vissuta intensamente, minuto per minuto.

Mattia Serrago

Still Alice

Regia e sceneggiatura: Richard Glatzer e Wash Westmoreland. Fotografia: Denis Lenoir. Montaggio: Nicolas Chaudeurge. Interpreti: Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart, Shane McRae. Origine: Usa, 2014. Durata: 99′.

 

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