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The Rider – Il sogno di un cowboy

the-rider-2017-chloe-zhaoCosa c’è dopo il west, dopo la frontiera che ha regalato alla Confederazione un’epica che ancora oggi è (o vorrebbe essere) radice robusta, mito fondativo? Il cinema western dopo gli anni Settanta ha tentato di spiegarcelo con racconti che hanno via via spolpato il corpo dell’eroe bianco, mettendone in luce le ambiguità, tagliando la tessitura di un racconto scritto dai figli degli invasori europei e ricucendo le trame di una storia violenta che ha lasciato segni permanenti sulla vita psichica degli americani di ieri e di oggi. Dunque, cosa ne è stato delle figure archetipiche di quelle storie di conquista di terre, di corse all’oro, di costruzione di ferrovie e opportunità, di definizione di sogno americano? Insomma, i cowboys oggi sono la gestualità di un cappello assestato sulla linea dell’orizzonte e tanta nostalgia, o portano ancora un modo di intendere l’essere americano?
Un film come The Rider della pechinese naturalizzata Chloé Zhao riapre la riflessione da un punto di vista inedito, perché lo sguardo è quasi etnografico, di chi quel tipo di cultura la vive con curiosità senza preconcetti (è bene sottolinearlo). Non siamo sulla lunghezza d’onda di un altro film recentissimo come I fratelli Sisters realizzato da un non americano, il francese Audiard, che traccia intorno alla voracità umana e alle passioni sfrenate da caccia a vene aurifere l’iperbole di un mondo vizioso e già votato al capitalismo; piuttosto Zhao definisce i confini di una riserva che, più che indiana, ridersembra fatta a posta per ospitare ciò che rimane dei cowboys: un hospice per gente che ha perso il duello con la storia e che dalle praterie sconfinate si è ridotta a montare solo cavalli per rodei.
E’ la storia di Brady Blackburn (Brady Jandreau), addestratore di cavalli selvaggi, secondo tradizione familiare, e stella caduta del rodeo. Con il padre e la sorella asperger vive nella riserva di Pine Ridge, nel South Dakota. Disarcionato durante una gara, Brady si fracassa il cranio. Vivo per miracolo deve rinunciare a montare cavalli, ripiegando su un lavoro come commesso in un supermercato, che significa un po’ morire. Non tarderà a riprendere le redini in mano, nonostante la contrarietà del padre e l’immagine emblematica della resa incarnata da un amico a cui la sorte ha consegnato dopo una caduta una disabilità gravissima.
La regista gira con poesia una vicenda che affonda pienamente nella realtà, rischiando ad ogni snodo narrativo di cadere nel patetico, di scivolare sull’emozione facile. Invece, Zhao privilegia sì i colori affascinanti delle distese del Sud Dakota, le sfumature delle albe e dei tramonti ad evocare nostalgicamente un’epica fuori tempo, ma con altrettanta decisione spoglia il racconto da ogni orpello, confondendo la vita con il mito a tutto vantaggio della vita, anche nei suoi aspetti più deprimenti. L’approccio è da documentarista, con la macchina da presa che sembra cercare risposte dietro la superficie del visivo, per poi fermarsi ammirata davanti al sole calante o all’intensità di uno scambio di sguardi tra uomo e cavallo, o all’ostinata perseveranza del domatore, come se tra uomo e natura si giocasse non solo questa storia ma il senso della storia di tutto un paese.
Sarà per questo che Zhao non gira il suo film inventando dal nulla e scritturando delle star: il suo è un procedimento contrario al documentarista che forza la realtà per raccontarla meglio (da Flaherty a Rosi, quasi un secolo di storia del documentario di narrazione), chiedendo – come ha fatto ultimamente Carpignano in A Ciambra – a persone reali di diventare personaggi, ovvero di mettere in scena se stessi, parte del loro vissuto.


Girando sempre nel South Dakota tra il 2014 e il 2015 Songs My Brothers Taught Me, suo primo lungometraggio, la regista aveva conosciuto Brady che è stato poi il punto di partenza per The Rider, ispirazione per un film sorprendente, volto intenso di una generazione di uomini ai margini, addirittura fuori dal ventunesimo secolo. Degno del cinema di taglio sociale ma senza fare denuncia o proclami, The Rider lancia da una riserva indiana che fu territorio del massacro dei Sioux l’invito a raccogliere l’ultimo incanto di una narrazione che forse ha perso definitivamente di eroicità.

Alessandro Leone

The Rider – Il sogno di un cowboy

Sceneggiatura e regia: Chloé Zhao. Fotografia: Joshua James Richards. Montaggio: Alex O’Flinn. Musiche: Nathan Halpern. Interpreti: Brady Jandreau, Tim Jandreau, Lilly Jandreau, Cat Clifford, Lane Scott, Leroy Pourier. Origine: USA, 2017. Durata: 103′.

 

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