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Tito e gli alieni

tito2Nel deserto del Nevada uno scienziato napoletano (Valerio Mastandrea) lavora a un progetto che dovrebbe rivelare i suoni dell’universo. La sua tecnologia condensa analogico e digitale, le sue macchine sembrano uscire dalle pagine di un fumetto sci-fi anni ’50. La solitudine delle sue giornate, in cui fa capolino per le provviste Stella (Clemence Poesy), è interrotta dall’improvviso arrivo dei nipoti, i figli del fratello morto prematuramente e che segue la dipartita della moglie qualche anno prima. Sono Anita, sedici anni, e Tito, che ne ha sette. Dopo i primi entusiasmi, alloggiati in un igloo gonfiabile, Anita si rende conto che questa America non è quella dei suoi miti e delle città sfavillanti. Tito, convinto di poter ascoltare la voce dei genitori morti mettendo all’orecchio una fotografia come faceva il padre, segue lo zio nel suo laboratorio nella speranza di intercettare suoni familiari. Gli insuccessi del professore non deludono però solo i nipoti, ma anche gli apparati militari che decidono di chiudere il protocollo proprio quando macchinari ed entusiasmi si riaccendono ad un segnale inequivocabile.

tito_e_alieniEcco uno di quei film che esce nel silenzio mediatico di giugno, stagione estiva che in Italia significa seconda visione nei cinema all’aperto, e che invece meriterebbe il pubblico che segue la nostra commedia migliore. Un fantasy che è una commedia ma anche un film sentimentale con effetti speciali, già questo intruglio inusuale per il cinema italiano dovrebbe incuriosire. La regista Paola Randi, senza timori e con un po’ di sfrontatezza se ne infischia dei pericoli di un pasticcio ambizioso a cavallo dei generi e gioca proprio su un immaginario che non è quello della fantascienza moderna e miliardaria, mettendosi a servizio di un racconto ben scritto e girato con personalità e inventiva. Tito e gli alieni è, in questo momento, il rovescio del cinema di noi altri, perché si sgancia per ambientazione e stile dal nostro ultimo cinema. C’è l’America, cosa non nuova nel cinema italiano, ma ripensata con più audacia, anche rispetto alla route di Virzì in Ella & John. Qui siamo nella lunare Area 51, l’ultimo mito partorito dagli yankee, territorio di sbarchi e alieni, di visioni e sogni di mondi lontani. Randi afferra una vicenda familiare triste e la fa diventare a tratti comica (in piena tradizione popolare), descrivendo i suoi personaggi attraverso azioni semplici e poche parole. Anche se abbastanza scontato è l’esito dell’incontro tra zio solitario e imbruttito da un lutto (anche lui ha perso l’amata moglie) e i nipoti vitali nonostante il dramma, lo scontro tra istanze divergenti e che genera le classiche convergenze emotive si trasforma in un’avventura che si fa cuore del film. La ricerca dei suoni dell’universo, infruttuosa dopo anni di investimento, trova il suo compimento proprio grazie alla spinta diretta e indiretta dei ragazzini, soprattutto Tito, che con lo zio condivide l’idea romantica di trovare nello spazio profondo e silente la voce di coloro che non ci sono più.


Guarda alle stelle la regista e lo fa con gli occhi ingenui di Tito, ancora sintonizzati sull’incredibile, per definire parabole astronomiche che senza troppa matematica e astrofisica si inarcano per elaborare un dolore inguaribile. A dispetto delle luci aliene, effetti da quattro soldi per turisti dell’ignoto che campeggiano a ridosso dell’Area segreta, Tito gli unici alieni che cerca hanno il volto di mamma e papà e per raggiungere il suo scopo dinamizza la stasi dello zio (cieco anche davanti alle attenzioni di Stella, nomen omen), spara in alto per poter sognare fino a quando la sua età lo rende possibile e invita gli adulti a farlo.
Il finale a un passo dal kitsch mette letteralmente in luce i desideri inconsci di chi ha perduto i propri cari e, per un attimo, ci consola con l’idea marziana della morte come passaggio di stato e vita in un altrove che si confonde con i mondi alieni e dove si parla la lingua dei suoni.

Vera Mandusich

Tito e gli alieni

Regia: Paola Randi. Sceneggiatura: Paola Randi, Massimo Gaudioso. Fotografia: Roberto Forza. Montaggio: Desideria Rayner. Musiche: Giordano Corapi, Fausto Mesolella. Interpreti: Valerio Mastandrea, Clémence Poésy, Luca Esposito, Chiara Stella Riccio. Origine: Italia, 2018. Durata: 92′.

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