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Una notte di 12 anni

notte12anniUruguay 1973, smantellato da una anno il movimento di guerriglia dei Tupamaros, i militanti sono stati fatti prigionieri e torturati dai militari al servizio del regime dittatoriale che da poco ha rovesciato la democrazia. Nell’ambito di una segreta operazione militare nove Tupamaros vengono prelevati dalle loro celle e spostati in centri di detenzioni sparsi nel paese, spesso luoghi remoti e inaccessibili. Tra questi ci sono Mauricio Rosencof (Chino Darín), Eleuterio Huidobro (Alfonso Tort) e José “Pepe” Mujica (Antonio de la Torre). Per loro è l’inizio di una notte lunga dodici anni, vittime di un esperimento che intende portare alla follia i detenuti, su cui vige l’ordine di mantenerli in vita.
Álvaro Brechner si innesta nel filone dei film carcerari, in particolare quelli che raccontano gli anni terribili delle dittature sudamericane, con una storia vera e incredibile, non tanto per ciò che avviene nei dodici anni di isolamento subiti dai protagonisti del film, ma perché gli stessi, liberati nel 1985, sono stati poi protagonisti della storia politica del loro la-notte-di-12-annipaese, vestendo ruoli di spicco nei governi futuri, in particolare Pepe Mujica che dal 2010 al 2015 sarà presidente dell’Uruguay. Una notte di 12 anni in fin dei conti non è più agghiacciante di un film di Héctor Olivera, di Costa-Gavras o di Marco Bechis, ha delle forti assonanze con Cronaca di una fuga – Buenos Aires 1977, pellicola del 2006 purtroppo poco vista. Ma se il cinema ha spesso raccontato l’Argentina dei colonnelli, più raramente gli anni bui in Brasile, Brechner porta adesso un paese la cui storia è altrettanto complessa e tragica.
Pur imbarcando nel film tutti gli elementi narrativi di genere (sevizie e crudeltà, banalità del male, mostruosità dell’uniforme), il regista sceglie di non caricare la violenza fisica (che pure c’è) a vantaggio di un accanimento che agisce sul piano psicologico. Se il film diventa un macabro tour nei luoghi detentivi è perché i continui spostamenti dovevano servire a logorare la tempra dei prigionieri incapaci di collocarsi nel tempo e nello spazio, tenuti inoltre lontani da fonti di luce, sovente incappucciati e, ovviamente, separati.
notte-12Questa, che è poi una storia di resilienza, di resistenza umana alle pressioni di un corpo pesante e disumano, di ricerca di motivazioni alla vita quando tutto sembra sprofondare nel buio di una notte infinita, lì ad un passo dalla follia, cresce nonostante la reiterazione (o forse proprio per questo) delle situazioni che segnano le detenzioni, perché lentamente, che la cella sia un perimetro di due metri per due in un sotterraneo di una caserma o un silos cilindrico in mezzo al nulla, i prigionieri devono rispondere allo spettro della follia, al disorientamento dei sensi, alle voci che rimbombano nella testa, ai ricordi che si rimpastano, ai rimpianti per ciò che credono di aver perduto per sempre. Il regista non teme l’irruzione nella storia di piani temporali sconnessi dal reale, di infiltrazioni di incubi, di derive nell’assurdo, soprattutto quando diventa importante la condizione psicologica dei prigionieri.
Il lavoro sul suono e la fotografia trovano significati ulteriori in un film dove la parola è secondaria, anche quando Mauricio, lo scrittore, familiarizza con un sergente scrivendogli le lettere d’amore che gli permetteranno di conquistare la donna amata. Sono frammenti di luce che spostano il film per poche scene su piani inusuali, anche comici, persino grotteschi, come quando dei soldati semplici mobilitano agli scranni alti della gerarchia militare per decidere in un cesso se sia il caso di togliere le manette a Eleuterio che vorrebbe defecare.


In questo il film non ha precedenti e, con il documentario di Moretti Santiago, Italia propone una riflessione attualissima non solo sulle sbandate delle democrazie sudamericane, ma sulle derive speculative che identificano nei nuovi nazionalismi la risposta politica alla recessione economica e alle crisi istituzionali.
José Mujica, il presidente che abitava in un umile casa e che aveva rinunciato al 90% del suo stipendio, non è più in carica da quasi quattro anni, ma la lucida trasparenza, i modi gentili, le parole sagge con cui ha guidato per cinque anni il suo paese già ci mancano come un’età di cui aver nostalgia. Tornano alla mente le parole della madre al figlio rassegnato: “devi resistere!”.

Alessandro Leone

Una notte di 12 anni

Sceneggiatura e regia: Álvaro Brechner. Fotografia: Carlos Catalán. Montaggio: Irene Blecua, Nacho Ruiz Capillas. Musiche: Federico Jusid. Interpreti: Antonio de la Torre, Chino Darín, Alfonso Tort, Soledad Villamil, César Troncoso, Mirella Pascual. Origine: Ungheria/Spagna/Argentina/Francia/Germania, 2018. Durata: 122′.

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