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Walter Veltroni, il ricordo di un’infanzia

veltroniIn occasione della quattordicesima edizione della manifestazione Un posto nel mondo, lunedì 23 novembre si è tenuto un doppio incontro a Varese con Walter Veltroni, in cui ha presentato il suo ultimo libro Ciao e il suo nuovo film I bambini sanno. L’ex politico ha inoltre incontrato circa quattrocento ragazzi delle scuole medie provinciali presso l’auditorium di Gavirate la mattina dello stesso giorno. Alessandro Leone lo ha incontrato per Cinequanon.

“CIAO”
Walter Veltroni immagina il dialogo che non ha mia potuto avere col padre. Vittorio Veltroni è infatti morto cinquantanove anni fa, quando il piccolo Walter aveva solo un anno.

Cinequanon: Con Ciao Perché sei arrivato a raccontare tuo padre a questo punto della tua vita? Cosa ti ha spinto ad affrontare questa sfida, il racconto di tuo padre, e renderlo pubblico?
W. Veltroni: Guarda io ho scritto questo libro adesso per due motivi: primo, solo adesso potevo, nel senso che ora non ho più responsabilità e ruoli pubblici. E quindi ora, che rispondo solo di me stesso, ho potuto scrivere un libro così personale. L’altra ragione è che forse sono arrivato ad un tempo della vita in cui bisogna mettere un pò “d’ordine nella stanza”. Io ho corso tutta la vita come un forsennato per fare cose che avevo il dovere di fare, “mettevo dei foglietti in una stanza” e adesso è giusto rimettere un pò in ordine.

Veltroni_CiaoUn’infanzia senza padre
Mio padre è morto a 37 anni perciò non ci siamo mai scambiati idee, non ci siamo mai guardati negli occhi, forse lui ha guardato i miei, ma io non mi ricordo i suoi, e non c’è nulla che ci colleghi, neanche una fotografia. Non sono neanche mai riuscito a sognarlo mio padre perché non ne ho un ricordo. E allora mi è sembrato che il modo più bello per parlare di lui fosse dialogare con lui in un momento nel quale, quasi magicamente, queste due persone dalle età rovesciate, lui ha l’età di un figlio e io di un padre, si parlassero e si dicessero quello che non si erano mai detti. Per me è stato ovviamente molto doloroso scrivere questo libro. Io ho pianto molto. Però, poi ho avuto la sensazione che al termine della lettura non si esce prostrati, ma si esce con un senso di compiutezza: è stato come un buco, che in qualche modo è stato riempito. Devo però premettere che non sono stato un bambino triste e ciò lo devo a mia madre che ha saputo dare sicurezza, confortare e non si è piegata al dolore, cosa che noi uomini siamo più portati a fare. Qualche ferita naturalmente c’era, perché quando due bambini si incontrano solitamente si fanno due domande: che scuola fai e, la seconda domanda, che mestiere fa tuo padre. E a sei anni dover dire ad un bambino tuo amico che tuo padre è morto è faticoso; è proprio la parola pesante, da bambini è una specie di macigno che tirar fuori dalla bocca ti mette irrimediabilmente in una condizione di disuguaglianza.
La cosa che mi ha colpito di più è la quantità di reazioni; cioè, ognuno leggendo questo libro si sente in causa, non importa quale sia la condizione, ci sono quelli che non hanno avuto un padre come me e ci sono quelli che hanno avuto il padre più a lungo possibile, però c’è sempre qualcosa nel rapporto col padre che è un pò più complicato. Il rapporto con la madre è più sicuro, qualsiasi cosa succeda si sa che c’è, mentre il padre lo devi conquistare; la loro presenza, il loro consenso, il loro affetto, il loro apprezzamento. E mi scrive gente che non abbraccia il padre, non è mai stata abbracciata dal padre (che poi noi uomini abbiamo anche una certa difficoltà nel dimostrare la nostra affettività) e ci sono  padri che non hanno mai dato una carezza ad un figlio, ci sono padri che non parlano con i figli da anni… C’è poi  un capitolo speciale nel libro (il XVI) in cui io elenco tutte le cose che mi sono mancate di mio padre, tutto ciò che avrei voluto fare con lui, e c’è molta gente che viene alle presentazioni e che si è segnata, affianco delle sentattoto righe diverse, una crocetta, per dire quello che aveva col padre oppure cosa ha fatto il padre col figlio. Perciò questo libro, seppur personale, deve aver scosso qualcosa nelle persone.

Il valore della fanciullezza
Cinequanon: In questo percorso per tappe, e pensando anche al film I bambini sanno, quanto hai dialogato col bambino che c’è in te?
W. Veltroni: Io non ho mai nascosto di aver grande cura e rispetto per me bambino e, in generale, diffido dalle persone che fanno finta di non essere stati bambini. Vogliono negarsi quella dimensione d’incanto, fantasia, allegria che c’è nell’essere bambini, e anche quegli stupori e fragilità: se voi prendete un bambino ammalato e un grande ammalato, dei due è sicuramente più robusto il bambino, perché non esistono i bambini ipocondriaci, esistono i grandi ipocondriaci.
i-bambini-sanno-walter-veltroniUn bambino che sta in un reparto di oncologia pediatra non molla mai! E io non ho mai nascosto ciò, ma l’ho sempre divulgato, anche quando facevo il lavoro più da grande che ci possa essere. Ciascuno di noi è quello che si è formato tra gli otto e undici anni. Insomma, il mio consiglio è di non uccidere il bambino che c’è dentro di voi, di lasciarlo lì perché lui sta bene così, lui cresce con noi e alla fine tende a ricongiugersi, perché alla fine non c’è nulla che assomigli ai bambini come i vecchi, con la differenza che magari un bambino non sa fare una cosa perché non ha ancora imparato a farla e un vecchio non sa una cosa perché ha disimparato a farla. Però bisogna tenere dentro di sé quella parte, perché è quella legata alla fantasia. Io la cosa che raccomando tutte le volte ai genitori è quella di far annoiare i bambini, di evitare di trasformare i bambini in delle macchine con l’agenda fitta di impegni, ad otto anni sono dei fenomeni, però sono anche dei bambini che non avuto la possibilità di vivere la meraviglia di quel tempo “fermo”. Non c’è nulla più della noia che attizzi la fantasia e se c’è una cosa della quale il mondo moderno ha bisogno è la fantasia.

Il delicato rapporto tra Nostalgia e Memoria
Cinequanon:
Alcune critiche definiscono questo libro come nostalgico, io ho trovato un interesse maggiore nella memoria. Quanto è importante oggi dal tuo punto vista salvaguardare la memoria?
W. Veltroni: Questi sono due termini che tendono ad essere confusi, cioè si pensa che nostalgia e memoria siano la stessa cosa e invece sono due cose totalmente diverse. La nostalgia è un sentimento legittimo, le cose perdute, le persone perdute… tutti abbiamo una persona perduta amica o non amica con cui vorremo avere la possibilità di dialogare. Ma questa è la nostalgia, un sentimento letterario,personale… La memoria è invece un mezzo di giudizio critico, se non hai memoria sei scettico, sei esposto a qualsiasi intemperia e qualsiasi possibile errore. E’ solo la coscienza del tuo cammino che ti da la percezione del fatto che certi errori, individuali e collettivi, possano non ripetersi.

Successivamente Veltroni ha voluto citare il celebre capolavoro di Stanley Kubrick 2001: odissea nello spazio, un film decisivo per la nascita del suo amore per il cinema, in particolare l’episodio di Hal 9000 (il computer di bordo della nave spaziele Discovery), commentando: Quel film ha un prefinale che è l’uccisione del computer, voi immaginate la genialità di Arthur Clarke che scrisse questa novella da cui l’altro genio di Kubrick ne trasse un film di fantascienza immortale e ancora oggi valido. Lui era cinquanta anni avanti e intanto aveva capito che i PC sarebbero stati il centro del mondo, per cui costruisce la figura di Hal 9000, che è una specie di grande fratello, padrone dell’astronave di spedizione; ad un certo punto diventa talmente potente da diventare umano, riceve umanità, non fa un semplice upgrade. E ad un certo punto ha un sentimento e questo sentimento è tale da uccidere uno dei due astronauti, l’altro astronauta capisce che è stato lui e, da umano che è, decide di ucciderlo togliendogli la memoria. Gli svita uno a uno tutti i tasselli della memoria e questo computer regredisce all’età infantile fino a dichiarare il suo atto di nascita e cantare una canzoncina per bambini insegnatagli dal suo creatore, dopo di che muore. Noi stiamo diventando così, viviamo in una condizione tale da essere bombardati da cose, notizie ed eventi che ci vengono presentati quasi sempre come eventi incredibili, perchè il sistema della comunicazione vive di contemporaneità e ai miei tempi non era così: non è che quando accadevano grandi eventi la notizia ti arrivava “in tasca”, dovevi aspettare il telegiornale delle venti e il giorno dopo i giornali, adesso siamo in una condizione nella quale io stesso consulto convulsivamente il telefonino per vedere cos’è successo. Questo fa si che siamo tutti in una condizione di costante assedio della comunicazione, ma non dobbiamo scagliarci contro ciò, il problema, come in tutte le grandi scoperte scientifiche/tecnologiche, è trovare un punto di armonia, perchè siamo bombardati d’informazioni che non facciamo in tempo a metabolizzare, razionalizzare, per cui rischiamo di emotivizzare le nostre reazioni. Pensate che oggi sembra passato un mese dal massacro di Parigi e un anno da Charlie Hebdo, ma invece non è così! Ho sentito dire in questi giorni al telegiornale: “perché l’anno scorso alla strage di Charlie Hebdo…”, quale un anno fa? A gennaio di quest’anno, è stato dieci mesi fa. Quanto pensate sia passato dalla strage sulla spiaggia tunisina? Anni! Quanto pensate che sia passato dalla caduta dell’aereo Germanwings col pilota suicida? Anni! Invece mesi. E’ questa condizione che noi dobbiamo, non voglio dire contrastare, ma plasmare. La memoria è essenziale non solo per sapere cosa succede, ma anche per capire cosa succede.

La Parola per dar vita al Racconto
Cinequanon: La parola è da recuperare come una delle cose più belle della vita?
W. Veltroni: Le parole sono importanti, la scelta, la selezione, la cura… perché sono importanti i racconti. Una delle cose a cui penso non potrei rinunciare è il racconto. Il racconto degli altri, il racconto della vita degli altri, il racconto delle esperienze degli altri, i libri… Questi esistono perché li ha scritti qualcuno, non è che sono esistiti nella realtà, non è che il giovane Holden è esistito in carne ed ossa, ma fa parte della nostra vita perché qualcuno ce lo ha raccontato. Chi se ne frega se è vero o finto; noi siamo quello che siamo per i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto, le persone che abbiamo conosciuto, per le donne o uomini di cui ci siamo innamorati, per i momenti che abbiamo vissuto… per le storie degli altri che ci consentono di non vivere la banalità di una vita sola. Perché il vero nemico della vita è la solitudine? Perchè quando sei solo non hai nessuno a cui raccontare ciò che ti succede. La solitudine è un pericolo per lo stare insieme delle persone. Bisogna stare insieme.

bimbisanno“I BAMBINI SANNO”
Walter Veltroni, in collaborazione con Sky, dirige la sua opera seconda I bambini sanno, uscito nelle sale italiane il 23 aprile 2015. Nel film, a mo’ di documentario, interroga 39 bambini italiani, di ogni etnia e ceto sociale, su argomenti di carattere generale quali la famiglia, l’amore, Dio, la guerra, la crisi, ecc.

W. Veltroni: Il titolo del film è I bambini sanno e nel realizzarlo sono partito dal titolo. Io ho sempre ammirato il grado di intelligenza, sapienza, equilibrio, sincerità e speranza che i bambini portano con se. E ho inserito la frase all’inizio del film  “Gli adulti da soli non capiscono niente, ed è stancante per i bambini dover sempre spiegare tutto” di Saint Exupéry, perché è più meno così che vanno le cose. Tutti vi innamorerete di questi bambini, ciascuno sceglierà il suo e sono trentanove creature fantastiche, ma sono trentanove uguali al tutto resto dei bambini. Se voi prendete un bambino di quell’età e gli consentite di dire quello che pensa, gli fate le domande che lui si fa, risponderanno tutti con la stessa intensità e con la stessa profondità dei bambini di questo film. Nel film non vedrete nessun grande, a cominciare da me, sentirete infatti la mia voce, ma non mi vedrete mai.  Sono solo bambini che, per una volta, parlano loro: qui è la voce dei bambini, il punto di vista dei bambini, i pensieri dei bambini. Nel film si piange e si ride, e penso che in ogni racconto ci siano un  pò di pianti e un pò di risa, mai solo uno o solo l’altro e soprattutto mai nessuno dei due. Perché la vita è fatta di emozioni e anche quando si vede un film o si legge un libro si devono provare delle emozioni: le deve provare chi gira e chi scrive, ma anche chi lo vede, perché se noi siamo tutti insieme è per vedere un film che ci smuova il cuore e spero che questi fantastici bambini riescano a farlo e se ci riusciranno e solo merito della loro intelligenza. 

In conclusione, un film da cui non può che emergere violentemente l’ingenuità, l’innocenza, la sincerità e la purezza di un bambino non ancora intaccato dal vivere frenetico del mondo dei grandi.

a cura di Samuele Perrotta

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