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Festa del cinema: Couture, il film di Alice Winocour con un cast stellare

Couture di Alice Winocour, presentato nella sezione Grand Public della 20esima Festa del Cinema di Roma, segue una regista americana di horror indipendenti (Angelina Jolie) nel suo viaggio di lavoro a Parigi, dove scoprirà di avere una grave malattia.
La sua storia tocca – tangenzialmente o intrecciandosi strettamente – quella degli altri personaggi di questo film corale: una giovane modella sudanese (Anyier Anei), una truccatrice stressata con aspirazioni da scrittrice (Ella Rumpf), una sarta taciturna e dedita al lavoro, un assistente alla regia serioso (Louis Garrel), l’oncologo sbrigativo di un ospedale pubblico (Vincent Lindon).

Il film non si concentra su l’una o l’altra storia. Le vicende parallele, tutte insieme, sono funzionali a delineare il tema di fondo del film: una descrizione prosaica, quasi neorealista, del mondo della moda e del cinema, che di solito vengono mostrati nella loro versione rifinita e pubblicitaria. Qui invece sono semplicemente i luoghi del lavoro. Estenuante fisicamente e moralmente – i turni della truccatrice che si accavallano, il freddo e le storte ai piedi sopportate dalla modella, gli aghi che pungono le dita della sarta, la lontananza da casa della regista a cui manca la figlia –, ma che per le donne del film è occasione di libertà e di espressione di sé (tesi che sembra insieme vecchissima e modernissima).
Questo non toglie che a tratti il film sembri una pubblicità di Chanel (che ha co-prodotto il film e che, anche se viene nominata esplicitamente una volta sola, è la casa di moda per la quale lavorano tutti i personaggi), soprattutto nella scena semi-finale della sfilata, dove l’abuso del rallenty e la musica da videoclip fanno quasi pensare a un video prodotto da Vogue per YouTube, invece che alla scena di un film. Ma nonostante alcuni punti deboli, il film riesce ad enunciare in modo più o meno costante un punto di vista sul contesto che descrive, che emerge in una delle prime scene, quando la regista-Jolie definisce la moda come «inutile e necessaria» (anche se poi la sua critica-analisi si riduce al trovare scomodo l’unico abito non suo che per una volta è costretta a indossare).
Jolie però dà sempre l’impressione di una fondamentale indifferenza, insensibilità, al mondo in cui si ritrova a muoversi, e non a causa delle contingenze a cui è sottoposto il personaggio (dice di aver accettato il lavoro a Parigi «per pagare le bollette»), ma piuttosto a causa di un certo modo di recitare. Algida, lenta nei movimenti, ogni gesto caricato di intenzionalità e iper controllato: qualsiasi suo personaggio appare sempre inevitabilmente «isolato» da ciò che le succede intorno, incapace di essere «sorpreso» dal contesto, che quindi non incide mai davvero sul suo carattere. Jolie, per dirla con le parole usate da Woody Allen per descrivere sé stesso in una recente intervista, è una brava attrice ma con poco range, con poca capacità di diversificare le proprie interpretazioni, e da molti anni il ruolo che recita è sempre quello della diva distaccata i cui occhi malinconici e i cui silenzi dovrebbero fare intuire pensieri più alti e inesprimibili rispetto a quelli di qualsiasi altro personaggio con il quale si ritrovi a condividere lo schermo. Quest’aura un po’ sacrale, da madonna laica benedicente, la fece – comprensibilmente – scegliere da Larraín per interpretare Maria Callas in Maria, ma lì come in Couture il suo divismo si «mangia» l’empatia che dovrebbe instaurarsi con i co-protagonisti (ricordiamo in Maria, Rohrwacher e Favino ridotti ad essere una coppia di spalle, e per di più con dei costumi da inservienti un po’ ridicoli). Nelle scene ospedaliere dove si sottopone a visite e esami – ha appena scoperto di avere un cancro al seno – né la drammaticità oggettiva della situazione, né i dialoghi frontali e franchi con l’oncologo-Lindon sembrano scalfire la superficie un po’ glaciale di Jolie, con la quale si ha sempre la sensazione di star assistendo ad un one woman show.
Un’empatia reale con un altro personaggio si percepisce solo nelle scene con Garrel, forse perché la messa in scena dell’attrazione reciproca costringe finalmente il suo personaggio ad un confronto alla pari con un altro essere umano. La linea narrativa della coppia Jolie-Garrel offre anche l’occasione di mettere in scena in modo interessante la questione del corpo: Jolie, una delle attrici più belle e sessualizzate al mondo, in questo film si mostra nuda sia in quanto amante sia in quanto donna malata – anche contemporaneamente, come nella scena dove smette di baciare Garrel perché si rende conto che sul suo seno sono rimasti i segni di pennarello fattele dal dottore durante un esame.

da Roma, Roberta Bennato

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