PercorsiSlideshow

La rigenerazione del mondo: byNWR, Too Old to Die Young e l’immagine liminare

Il linguaggio della violenza attraverso gli autori della contemporaneità: seconda parte

Stati Uniti d’America. Giorni nostri. Nella notturna Città degli Angeli, il Diavolo [1] Martin Jones (Miles Teller), vice sceriffo della contea, assiste all’assassinio del  collega Larry Johnson (Lance Gross), giustiziato perché ritenuto ingiustamente responsabile dell’omicidio di Magdalena (Carlotta Montanari), una boss del cartello messicano morta, invece, a causa di Martin. Tormentato dal rimorso e alla ricerca di protezione, Martin diventa un sicario al soldo di Damian (Babs Olusanmokun), boss di un’altra gang e rivale del cartello.
Messico. Nella villa dello zio Don Ricardo (Emiliano Dìez), il figlio di Magdalena e killer di Larry Jesus Rojas (Augusto Aguilera), si divide tra il desiderio di vendetta verso Martin e il necessario riscatto del suo ‘orgoglio ferito’ nella lotta di potere interna alla famiglia/cartello. Lo accompagna Yaritza (Cristina Rodlo), sacerdotisa de la muerte, donna o divinità, salvifica e vendicatrice insieme.
Di nuovo a Los Angeles, una psicoterapeuta in contatto con i ‘beings’ soprannaturali, Diana DeYoung (Jena Malone), e un ex-agente dell’FBI, Viggo Larsen (John Hawkes), si associano e, l’una come mandante e l’altro come esecutore materiale, giustiziano i criminali non assicurati alla giustizia.

Che cos’è, esattamente, Too Old to Die Young (id., 2019)? Descritta come una miniserie televisiva di origine statunitense (il produttore e distributore è Amazon, in veste sia di Studios sia di Prime Video), ma dall’animo chiaramente europeo, Too Old to Die Young si articola in una decina di episodi scritti (insieme a Ed Brubaker e Halley Gross) e interamente diretti dal regista danese Nicolas Winding Refn (Copenaghen, 1970).

Poster di Too Old to Die Young (2019).

 

Ma si tratta anche di una serie (possiamo ancora ‘etichettarla’ come tale?) che, costituendosi come uno spazio, privilegiato e protetto, di manifestazione di una certa mitologia autoriale –  il concetto di mythology series (Bellavita, 2019) – contribuisce tutt’ora alla ri-definizione, in senso stilistico e contenutistico, produttivo e fruitivo, della geografia seriale contemporanea.
Too Old to Die Young rappresenta, pertanto, il manifesto e l’opera omnia di un improprio ‘Refn Cinematic Universe’: un universo cinematografico o, appunto, mitologico, che il regista riassume come brand byNWR nelle forme di uno stile autoriale e rigorosamente ‘di marca’, simile agli stessi giganti dell’alta moda per cui Refn crea cortometraggi di natura pubblicitaria (su tutti, il corto Touch of Crude dedicato alla collezione Primavera-Estate 2023 di Prada).
Ma chi si nasconde dietro il nome di Nicolas Winding Refn? Definito dal regista Laurent Duroche «[…] un mistero impenetrabile. Una sorta di forza della natura di una straordinaria pacatezza» (Giorgi, Zanello, 2012), Nicolas Winding Refn nasce il 29 settembre 1970 a Copenaghen, Danimarca. Dislessico (impara a leggere tardi, all’età di tredici anni) e, insieme, anche daltonico, fin dall’infanzia Refn trasforma l’immagine nell’unico mezzo (a lui) possibile di comunicazione e di comprensione del mondo; un mezzo, com’è ovvio, alternativo alla scrittura e consacrato a quell’esigenza di raccontarsi, appunto, per immagini, che ancora oggi caratterizza il suo approccio all’arte cinematografica.

Foto scattata su uno dei set di Too Old to Die Young (2019); Da sinistra a destra, Hideo Kojima (game creator giapponese), Liv Corfixen (attrice danese e moglie del regista) e Nicolas Winding Refn.

 

Enfant sauvage’ di Danimarca, il cinema di Refn si pone, in senso programmatico, come attacco sia all’élite cinematografica (danese) contemporanea (in primis, verso Lars von Trier) sia, in generale, a un certo ‘cinéma de papa’ i cui canoni artistici e ‘buon gusto’ il regista vuole eliminare dall’interno; ne consegue un approccio necessariamente violento all’immagine: una violenza insieme in immagine (contenuto) e dell’immagine (stile e componente fruitivo-relazionale), generata dall’idea del regista che «Art is an act of violence».

«But the more perfect society gets, the more psychotic we become. We evolved through brutality … as time went on, the pack began to provide for us, and we abandoned our violent nature. But it never went away. Laid beside us in our sleep. Waiting. And as it waited, we became slaves to the systems we built. Now it’s falling apart … Someone has to be there to protect innocence» (S.1 E.4, La Torre, monologo di Viggo).

Se in Funny Games (id.,1997) di Michael Haneke il buco nella recinzione della famiglia Schöber era gravido di una violenza mal(e)celata dalle «[…] immaginette di un ordine apparente, di un ideale di felicità» (Marineo, 2014), e di una violenza che, distesa accanto a noi nel sonno, cresceva sotto lo stesso tetto dell’istituzione-famiglia, ora, in Too Old to Die Young, in mezzo alle rovine di una società ‘civile’ che sta cadendo a pezzi, essa riemerge e infetta il tessuto sociale nella sua interezza.
Paul (Arno Frisch) e Peter (Frank Giering) sono stati invitati a entrare e sono diventati cittadini di «[…] una Los Angeles che ha il fascino glorioso e perverso delle città del mito – Saba, Sibari, Sodoma, Babilonia» (Capra, 2022).
Quindi, tra gangster e malavitosi, boss del cartello messicano, poliziotti corrotti (e dichiaratamente nazisti), pornografi perversi, sicari e (altresì) membri della Yakuza giapponese, non meraviglia che in Too Old to Die Young sia proprio il linguaggio della violenza a essere eletto l’idioma (relazionale) ufficiale di un universo narrativo i cui personaggi, come tanti altri del ‘Refn Cinematic Universe’, interagiscono sempre e solo nel male a attraverso il male.

Comunicare attraverso il male; ‘Il Diavolo’ Martin Jones in Too Old to Die Young (2019).

Ma come osserva Viggo, enunciatore di quell’ «[…] autentico manifesto della condizione umana #byNWR» (Capra, id.) di cui sopra, ora che ‘il sistema’ sta crollando qualcuno deve essere lì per proteggere l’innocenza; e se tutti comunicano attraverso il linguaggio della violenza, soltanto attraverso il suddetto si tenterà di operare un cambiamento.
Come nella lettura dell’Arcano Maggiore La Morte (XIII), in cui il concetto di ‘fine’ coincide con quello di ‘inizio’, sia il tentativo di Martin di incanalare la sua freudiana pulsione di morte nello schema moralizzante offertogli dall’associazione a (non) delinquere di Diane e Viggo, sia l’intervento, insieme salvifico e vendicatore, della sacerdotisa de la muerte e semi-divinità del ‘femminile’ Yaritza, acquistano un significato solamente se visti attraverso tale urgenza trasformativa; il sangue, principio ri-generatore presente già in altri lavori del regista (segnatamente, Valhalla Rising – Regno di sangue, 2009, e The Neon Demon, 2016), ne diventa invece il mezzo.

Lo ‘stacco’, in confronto a Funny Games, è chiaro: senza particolari pretese di impegno storico-politico (in questo si differenzia nettamente da Haneke), per Nicolas Winding Refn «[…] la violenza in Too Old to Die Young implica innanzitutto rigenerazione, avvento di una nuova antropocene, non necessariamente migliore della precedente» (Capra, id.).

Salvezza e vendetta; La ‘sacerdotisa de la muerte’ Yaritza in Too Old to Die Young (2019).

Questa rigenerazione concerne tanto il significato (o contenuto) quanto il significante (o forma, o addirittura stile) dell’immagine refniana. Di nuovo, se in Funny Games il congelamento della violenza eccedente era orientato alla negazione della stessa, in Too Old to Die Young, invece, non si assiste a uno ‘scongelamento’ dell’eccedenza ma, piuttosto, a un suo ritorno ‘sotto mentite spoglie’, riassumibile nel concetto di immagine liminare.
Si tratta, quest’ultima, di un’immagine (né negata né voyeuristica) che, pur senza contraddire il raffreddamento della forma filmica contemporanea (Gandini, 2014), eccede il doppio perché violenza in immagine e dell’immagine insieme: in immagine siccome iper-estetizzando il contenuto violento della stessa ne consegue un’esaltazione del carattere spettacolare e ‘visivo’ della violenza rappresentata (nella settima arte, immagine, violenza e sguardo tendono a somigliarsi); e dell’immagine siccome, una volta iper-estetizzata, essa diventa contraddittoriamente sia ‘bella’ alla vista, nonostante raffiguri un contenuto ripugnante, sia ‘indigeribile’ allo spettatore contemporaneo. Cause del suo turbamento sono, pertanto, l’accostamento tra forma attraente e contenuto respingente da un lato, e l’abitudine a un consumo altro delle immagini, in genere bulimico e iper-stimolante, dall’altro.
Quindi, tra «[…] un campionario di espedienti tecnici come lunghi piani sequenza, estesa profondità di campo, movimenti di camera lenti e simmetrici, rarefazione di montaggio e dialoghi» non risulta azzardato il commento (bonario) secondo cui «[…] il marchio NWR, così originale e riconoscibile, cammina già in Too Old to Die Young sull’orlo della parodia involontaria» (Capra, id.).

L’immagine liminare e il ritorno dell’eccedenza; Viggo Larsen in Too Old to Die Young (2019).

L’immagine refniana, infine, è liminare nella misura in cui essa, immagine al limite e del limite, invita continuamente e strutturalmente lo sguardo spettatoriale sulla soglia, sfidandolo a ‘non chiudere gli occhi’, a essere abitante del limite, in un gioco violante e violento di contemporanea attrazione e repulsione che porta entrambi, spettatore e regista, a chiedersi fino a dove ci si può spingere prima della perdita di equilibrio e, quindi, dell’inevitabile caduta.

Penelope Beltrami

Note
[1] A ciascuna delle dieci puntate della serie è stato attribuito, come titolo, il nome di uno degli Arcani Maggiori dei Tarocchi (es. S.1 E.1 Il Diavolo, l’Arcano Maggiore accostato a Martin).

Saggi e articoli citati
– BELLAVITA, Andrea, Mythology series e fruizione immersiva, in “Segnocinema”, XXXIX, 220 (novembre-dicembre 2019), pp. 6-8.
– CAPRA, Rudi, Nicolas Winding Refn. La vertigine del fato, Edizioni Falsopiano, Alessandria, 2022, pp. 115, 123, 125, 133, 139.
– GANDINI, Leonardo, Voglio vedere il sangue. La violenza nel cinema contemporaneo, Mimesis, Milano, 2014, p. 68.
– GIORGI, Stefano, ZANELLO, Fabio (a cura di), La vendetta degli anti-eroi. Il cinema di Nicolas Winding Refn, Edizioni Il Foglio, Piombino, 2012, p. 15.
– MARINEO, Franco, Il cinema del terzo millennio. Immaginari, nuove tecnologie, narrazioni, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2014, pp. 138-139.

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close