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Roma 2013: è la volta di Cooper

La giornata di ieri è stata caratterizzata soprattutto dall’incontro col regista Spike Jonze, che ha presentato domenica il suo nuovo lavoro Her. Il regista ha tenuto una intervista pubblica nel quale si è cercato di ripercorrere la sua carriera e di raccontare come si identifica il suo particolare modo di interpretare il cinema. Ciò che ne emerge è la capacità di lasciare che la libertà creativa diventi sempre uno sforzo intellettuale in piena libertà di mezzi. Tipico di un certo genere di cinema americano degli spike jonzeultimi anni è proprio l’abilità di non cercare etichettature sui generis, ma di mantenere sempre una certa fantasia artistica in grado di saltellare giocosamente da un tipo di prodotto audiovisivo ad un altro. Si perde la classificazione netta tra autori di pubblicità, videoclip musicali e cinema. Lo stesso Jonze ha dimostrato come per lui sia stato importante lavorare nei settori musicali e pubblicitari, fino ad arrivare ad un prodotto popolare come Kickass. Fondamentale è, secondo lui, riuscire sempre a divertirsi e cogliere l’occasione di reinventare la realtà attraverso il video. La sua carriera è per certi versi parallela a quella di Michel Gondry, guarda caso entrambi hanno lavorato con Charlie Kaufman e provengono dal mondo del videoclip, un mondo dove esiste una fusione tra la fantasia e l’armonia e che questi due autori in particolare hanno trasferito nella settima arte. Queste caratteristiche suscitano enorme interesse soprattutto tra gli studenti di cinema, accorsi in massa all’incontro e smaniosi di rivolgere al regista statunitense le loro domande .

Deludente invece l’opera in concorso A vida invisìvel, film portoghese di Vitor Gonçalves. Il film si arrampica in un mondo fatto di astrattezze e simbolismi privi di logica. L’idea sarebbe quella di raccontare la solitudine di un uomo piuttosto giovane, che affronta la morte del suo capo come un momento di estrema crisi esistenziale che lo porta a riflettere sul senso della vita. Le domande sono sollecitate anche da alcune immagini di paesaggi in super8, che l’amico morto lascia in eredità al protagonista. Il regista freme nel tentativo di cercare  risposte esistenziali e filosofiche, non sulla vita dei personaggi, ma sulla vita in senso generale e astratto. In una furiosa ricerca di simbolismo e, attraverso alcune citazioni di ambito cinematografico (la più evidente è forse la tromba delle scale presa da Fritz Lang), l’autore crea un’opera con i nervi di carta velina che si rompono appena entrano in contatto col mondo reale. Non c’è costruzione narrativa e l’idea di fondo sembra confusa, persa tra i vari corridoi vuoti e le stanze sempre buie. Sembra non esistere il mondo in questo film, se non a sprazzi, perfino i luoghi di lavoro sono bui e innaturalmente solitari, eccezion fatta per il collega Sandro che ogni tanto interviene in perfetto stile Belfagor. È chiara la preparazione di Gonçalves come regista, quello che gli serve ora è diventare un po’ più cittadino del mondo in modo da poter dare sostanza ai suoi prossimi lavori.

Out of the Furnace MovieNella giornata di oggi sono stati presentati l’atteso film di Scott Cooper Out of the Furnace e Corpi estranei di Mirko Locatelli. Il primo racconta di Russell e di suo fratello, veterano dell’Iraq, che scompare in un vortice di criminalità e violenza e del quale persino la polizia sembra aver timore. Christian Bale interpreta un antieroe che cerca in tutti i modi di restare puro, ma che si vede costretto a sopperire alle mancanze della società civile. Questo lavoro di Cooper ha volontariamente un sapore già sentito, la continuità tra i tempi della guerra in Vietnam e quelli dell’Iraq diventano forma cinematografica. Non c’è nulla di nuovo ed è questa la denuncia che il film fa tra le righe. Il soldato in congedo Rodney è la perfetta controfigura del Travis di Taxi Driver, anche qui si pone l’accento sulla violenza tollerata e legittimata e di quella a cui invece la società dice di deprecare, ma alla quale non sa porre rimedio. Ciò che sconvolge è che i due film abbiano circa trent’anni di differenza e che siano ambedue strettamente attuali. Nel personaggio di Russell incontriamo quella parte dell’America che vorrebbe avere un’opportunità di riscatto, ma che alla fine non riesce mai ad ottenerla.i-corpi-estranei-di-mirko-locatelli

Il lombardo Mirko Locatelli propone invece al Festival la storia dell’incontro tra un romano e un giovane tunisino. Antonio (Filippo Timi) porta suo figlio a Milano per una delicata operazione. Jaber si trova nello stesso ospedale per stare vicino al suo amico Youssef. La clinica diventa uno spazio sospeso nella quale Antonio trova la possibilità di confrontarsi con il diverso e vincere il suo razzismo. La pellicola affronta sicuramente un tema importante, ma nonostante ciò il regista resta in superficie, non affonda la lama nel problema culturale, accontentandosi di rappresentare il dolore personale di Antonio quasi prevalentemente, lasciando in disparte quello di Jaber. Ciò che ne risulta è un lavoro piuttosto rigido e sostanzialmente sbilanciato. Molti tempi sono dilatati quando andrebbero contratti, altri che avrebbero potuto fornire spunti interessanti e variazioni sul tema vengono invece lasciati morire. Mirko Locatelli segue insistentemente Antonio, che è presente in tutte le scene e, per quanto sia un personaggio ben costruito, non riesce a reggere da solo la struttura del film. Sembra che l’intento si sia spostato in corso d’opera sulla maturazione del protagonista, rispetto a quello originale di accomunare persone molto diverse, ma che alla fine hanno in comune lo stesso dolore.

da Roma, Giulia Colella

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