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Venezia 78: The Cathedral

The Cathedral, secondo lungometraggio dello statunitense Ricky D’ambrose, è al contempo il ritratto epico e impietoso di una generazione che assiste al declino della precedente, attraverso la lente del dramma familiare e del romanzo di formazione.
Ricky d’Ambrose, classe 1987, dirige il suo secondo lungometraggio dopo Notes on an Appereance, presentato a Berlino nel 2018. Il regista propone un film di ispirazione autobiografica, la cui origine risale alla morte della bisnonna materna, occasione in cui D’Ambrose notò le diverse reazioni della nonna e della prozia di fronte al dolore, due donne incapaci di rappacificarsi nel lutto dopo molti anni di ostilità.
Il film racconta le vicende familiari delle ricche famiglie Orkin e Damrosch unite nel matrimonio di Lydia e Richard, sul finire degli anni Ottanta, nei pressi di Haylett, una piccola cittadina nel Michigan. Dagli anni Ottanta l’epica familiare prosegue per circa trent’anni, fino al 2006, in una narrazione incentrata su Jesse Damrosch, figlio di Richard e Lydia, in un percorso che inizia e finisce con la nascita e il diploma dello stesso.

La suggestione autobiografica trova eco nei videotape ripresi dal Jesse adolescente, che sembrano fare il verso all’intero stile del film nella loro insistenza su dettagli apparentemente insignificanti, quasi un manifesto di poetica incastonato nella narrazione. A Jesse non importa filmare un evento particolare perché vuole trattenere tutto, in un’estetica della quantità che tenta di colmare la distanza con il mondo esterno.
Per quanto concerne lo stile visivo, l’autore fa sentire in modo molto marcato la sua presenza con il ricorso sistematico a plongées ed oggettive irreali, inquadrature che ci mostrano il piccolo Jesse bambino che gioca ignaro delle piccole grandi dispute economiche e di potere tra genitori e suoceri della buona borghesia americana. Successivamente le plongées lasciano spazio a interpellazioni esplicite del nostro protagonista Jesse, che, chiamato a posare su uno sfondo neutro per le foto dell’annuario scolastico, guarda per diversi secondi dritto verso lo spettatore, chiedendo di esser preso a testimone e, insieme, scandisce lo scorrere del tempo della storia.
La voce off risulta a tratti presenza ingombrante, benché essa non sia affatto una voce fuoricampo convenzionale, solitamente adatta a esprimere il flusso di coscienza o la psicologia dei personaggi. In un film che si struttura come una sequenza di climax continuamente interrotte prima del loro culmine, il narratore esterno descrive letteralmente gli accadimenti fondamentali, senza mostrare per immagini l’apice, quasi frustrando il nostro desiderio di vedere. Insomma, una voce esterna che non appartiene a nessun personaggio, neutra e nient’affatto accondiscendente nei confronti dei suoi sottoposti. Per esempio, intuiamo che il rapporto tra Richard e Lydia si stia logorando, ma la loro separazione ci viene raccontata esclusivamente dalla voce off, su di un carrello a retrocedere che ci mostra Jesse mentre spegne le candeline del suo terzo compleanno.

Ci siamo soffermati sull’importanza della voce off perché questa ci sembra ricoprire un ruolo principe in una colonna sonora caratterizzata altrimenti da un chiacchierio diffuso quanto inconsistente che pervade tutto il film, quasi a segnare la natura anempatica dei rapporti familiari, contrapposti a vincoli ed equilibri puramente economici (da notare come la macchina da presa indugi su un dettaglio de Il giardino dei ciliegi di Čechov).
Ma ecco che una sola volta nel corso del film la storia si affida direttamente alla voce over di Jesse ormai quindicenne e appassionato di film making, nell’analisi dettagliata di una vecchia foto di famiglia che ritrae le zie materne nella casa del padre ormai divorziato da Lydia da oltre dieci anni. Una stanza che si fa crocevia di relazioni ed equilibri irrecuperabili, perché nessuno sa cosa si stessero dicendo le zie o perché fossero in quella stanza in quel momento.
Del resto, tutto si dimentica della vita familiare, ma, come suggerisce il titolo, ciò che conta nelle cattedrali sono i contrafforti e la struttura portante , dunque ciò che resta non sono che legami di sangue e  vincoli economici.

Presentato fuori concorso, The Cathedral è uno dei film a microbudget inferiore a centocinquantamila euro, finanziati ogni anno dalla Biennale Cinema College per un bando rivolto ai registi alla loro opera prima o seconda.

da Venezia, Isa Tonussi

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