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57° festival del cinema svizzero

Sono tornate in presenza, dopo un’edizione in streaming, le storiche Giornate di Soletta. Il 57° festival del cinema svizzero si è svolto nella cittadina di Soletta (Soleure in francese o Solothurn in tedesco) con una buona presenza di pubblico, rispettando regole di accesso alle sale identiche a quelle italiane, sebbene inferiore nei numeri rispetto ai tempi pre-pandemia. Buono anche il livello della selezione, l’occasione annuale per fare il punto sul cinema elvetico, che conferma il suo buon momento, molto attivo e molto presente nelle coproduzioni.

Il Prix de Soleure, il più importante, vedeva in lizza otto film ed è stato assegnato a Wet Sand della georgiana Elene Naveriani. Siamo in un villaggio sulle rive del Mar Nero e tutto ruota intorno al bar sulla spiaggia che dà il titolo alla pellicola, gestito dal discreto Amnon coadiuvato dalla cameriera Fleshka. Quando muore suicida un abituale ed eccentrico avventore, Eliko, noto per essere l’unico cliente che beveva vino costoso, vengono allo scoperto dei segreti e la vita del paese non sarà più la stessa. Moe, nipote del defunto, torna al luogo d’origine chiamata dal Amnon, sconvolto dall’accaduto.
Un film bello, con tanti risvolti interessanti, ricco di dettagli ben congegnati, a partire dal prologo che si capirà più avanti. Tra storie omosessuali tenute segrete, pregiudizi del villaggio e la religiosità fanatica mostrata all’inizio (in tv si vede un pope girare la città con una statua e tenere discorso in occasione della giornata della famiglia), il ritratto di una società chiusa dove però il cambiamento arriva improvviso e inarrestabile, a dispetto delle ronde.

Attualissimo si rivela Olga di Elie Grappe, il candidato svizzero all’Oscar, già presentato (e premiato) alla Semaine de la critique del Festival di Cannes. Siamo a Kiev nel 2013. Olga è una promessa della ginnastica che con l’amica Sasha si prepara per i campionati europei, sua madre è una giornalista attiva contro il presidente filo-russo. Una sera, mentre tornano a casa in auto, le due sono speronate come segno di intimidazione. Sfruttando il fatto che suo padre, deceduto, era svizzero, Olga è mandata in Svizzera al centro di Macolin ad allenarsi. La situazione in Ucraina peggiora, iniziano le proteste popolari di Maidan e la madre è aggredita, così le comunicazioni tra le due si diradano. Un romanzo di formazione sportivo con implicazioni politiche e una storia di amicizia, abbastanza canonico, ma meno scontato di quel che potrebbe sembrare. E pure una protesta durante una competizione sportiva al grido di “Ucraina libera”.

Da evidenziare Beautiful Minds – Presque di Bernard Campan e Alexandre Jollien, vincitore del premio del pubblico e da poco uscito nelle sale italiane. Louis lavora nelle pompe funebri a Losanna. Igor è un disabile trentenne che fa consegne di verdure “bio” con la sua tricicletta rossa. Un giorno Louis con la sua vettura fa sbandare e uscire di strada Igor, poi lo accompagna in ospedale. Si tratta solo di una leggera ferita al braccio, ma il giovane, che vive con l’anziana madre, va a cercare l’altro in ufficio. E poi si nasconde dentro il carro funebre mentre Louis sta partendo per Montpellier per trasportare la salma di una morta e le ceneri del figlio di lei. I due si ritroveranno a compiere questo viaggio e trascorrere qualche giorno insieme, tra imprevisti, equivoci e incontri. Un classico road movie con due diversi (ma forse non così tanto, dal momento che sono entrambi soli) che si incontrano per caso e sono “costretti” a stare insieme. Igor cerca l’altro, Louis cerca di allontanarlo, ma non riesce, travolto dalla vitalità del giovane. È una commedia con qualche svolta un po’ prevedibile, ma godibile, anche perché funzionano bene gli interpreti e alcune gag e battute sono molto divertenti. Il film tratta con garbo e ironia anche la sessualità dei disabili.

Documentario che tratta temi ricorrenti, ma in modo interessante e abbastanza sviluppato, non superficiale, è Rotzloch di Maja Tschumi. Siamo in un centro d’accoglienza per soli uomini (una cinquantina) richiedenti asilo. Il film intreccia le storie di quattro di loro, anche dopo l’uscita dal centro. Ci sono lo scontro culturale, la difficoltà di inserirsi con gli svizzeri, i retaggi culturali e il tentativo di staccarsene (soprattutto nel rapporto con le donne e la sessualità). La regista racconta persone a metà, come cultura e status, tra il paese d’origine e la Svizzera.
Ancora migranti, questa volta a Calais, in Aya di Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski. Un giovane del Togo, dopo che è stata distrutta la “giungla” dove vivevano in attesa di passare in Gran Bretagna, è ospitato da una volontaria. I migranti cercano di raggiungere il sogno di una vita migliore, anche se nel frattempo gli anni passano e il sogno può cambiare. Il film è forse un po’ ripetitivo, ma ha spunti interessanti e almeno un momento molto toccante.
Heidi Specogna, una delle documentariste svizzere più affermate e apprezzate, racconta in Stand up my Beauty di una donna etiope, Nardos, che ha lasciato il villaggio per andare ad Addis Abeba a studiare e diventare cantante di musica tradizionale. La regista la segue per alcuni anni, mentre diventa madre, canta in un club, poi con l’Orchestra di piazza Vittorio, in seguito al Teatro nazionale e compone pezzi propri sognando di cantarli. Intanto intorno a lei la città cresce e si espande. Il film insiste molto sulla vita e il ruolo delle donne, sulla società tradizionale che nei villaggi imponeva di sposarsi prestissimo contro la propria volontà per diventare madri. Un bel film, con un ottimo personaggio, temi attuali e ben sviluppati.

A Pas de deux di Elie Aufseesser è andato il premio Opera prima. La sezione comprendeva anche Diaries from an Unconventional Journey di Sagar Shiriskar, documentario incentrato su Keren, una ragazzina americana affetta da paralisi cerebrale che si esprime attraverso un computer. Da quando è venuta a sapere del Dalai Lama si è appassionata a lui e vuole incontrarlo. Con i genitori e il fratello minore parte per l’India per raggiungere Dharamsala. Avrà l’incontro proprio nel giorno del suo decimo compleanno. È un incontro semplice ed emozionante, il Dalai Lama si presenta alla mano, umano, sorprendente, empatico e sta con lei per un po’. Il film risulta un diario di viaggio semplice, fa quel che deve, non ha ambizioni stilistiche, conta la storia e questa è interessante e intensa.
Ancora Zahorì di Marì Alessandrini, anche questo già a Locarno la scorsa estate, sulla curiosa amicizia tra un anziano mapuche della Patagonia e una tredicenne d’origine ticinese che sogna di diventare “gaucho”.
Le Giornate hanno proposto film che avevano già circolato in altri festival come Azor di Andreas Fontana (già andato su Mubi), il surreale Das madchen und die spinne – The Girl And The Spider di Ramon e Silvan Zürcher, lo storico Monte Verità di Stefan Jaeger e 3/19 di Silvio Soldini.

Tra le novità spicca L’Afrique des femmes del ticinese Mohammed Soudani (da poco uscito in sala in Ticino), un documentario empatico, pieno di energia, coinvolgente.
Partendo da una protesta di donne in Costa d’Avorio nel 1949, raccontata dal regista ivoriano Gnoan Mbala, è un viaggio in diverse parti dell’Africa per incontrare donne che stanno cercando di cambiare l’Africa. C’è chi ha creato un mercato, chi trasforma il pesce, chi opera per la riconciliazione in Burundi e Rwanda, chi cura progetti sociali in Kenya, chi lavora in un parco in Mozambico, chi da Ginevra lotta contro la cultura dello sbiancarsi la pelle. E c’è un forte messaggio di unione delle culture africane e della diaspora.
Altro documentario toccante, sebbene su toni più sommessi, è Les guérisseurs di Marie-Eve Hildbrand. Il padre della regista è un anziano medico con uno studio, dove riceve i pazienti oltre a compiere visite a domicilio, ma sta per chiuderlo dopo 40 anni di attività. Intanto altri medici visitano i malati, gli studenti fanno stage e pratica (su manichini) e si diffondono i robot per fare gli esami. Hildbrand non fa un film sottolineato o urlato, ma mette a confronto la vecchia e la nuova medicina, da una parte un passaggio di consegne, dall’altro frontiere dalle prospettive ignote. Molto bello il personaggio del padre, guardato con ammirazione e tenerezza, e ci sono vari momenti intensi.

I film di Peter Luisi, come la commedia amara nel mondo del calcio Flitzer (2017), hanno sempre una grazia e una cura particolari. Lo conferma il gradevole Prinzessin sul rapporto tra l’alcolista Josef e la nipote Nina, in due momenti. All’inizio lei è molto piccola, lo zio non è in condizione di assisterla, ma le fa una promessa. Una trentina d’anni dopo l’uomo è ormai anziano e la bambina è una donna tossicodipendente, nei guai in una carcere in Ucraina. Un film sul mantenere le promesse, sul salvarsi a vicenda, sulle dipendenze e come liberarsene, un dramma familiare con dolcezza.
Commedia surreale simpatica tra Praga e Berna è Lost in Paradise di Fiona Ziegler. Il figlio di un dentista esule dalla Cecoslovacchia dopo il 1968 è tornato a vivere a Praga, dove gestisce un club. Non avendo i soldi per pagare i danni di un incendio, il giovane deve tornare a vivere Berna, dove si scontra con il padre e ha nostalgia della ex fidanzata ceca. Una storia simpatica, un po’ surreale e stravagante.
Dalla storia vera (il romanzo autobiografico dei due protagonisti) di una coppia di svizzeri che furono rapiti in Pakistan è tratto Und morgen seid ihr tot dell’eclettico Michael Steiner, noto per Grounding, Il mio nome è Eugen, Non tutte le sciagure vengono dal cielo.
I due viaggiatori furono fermati durante un viaggio in furgone da piccoli delinquenti che li cedettero a un gruppo vicino ai talebani che chiese uno scambio di prigionieri. La vicenda si protrasse a lungo, permettendo alla coppia di conoscere un po’ la realtà pakistana. È un thriller abbastanza convenzionale (anche nell’uso delle musiche), la storia si sa come finisce, ma la parte più interessante è il finale, come vennero accolti i rapiti. Forse i personaggi dei rapitori e dei carcerieri sono un po’ tagliati con l’accetta.

Infine un cortometraggio animato molto simpatico ed efficace, Dans la nature di Marcel Barelli, animatore dallo stile riconoscibile già noto per La terra senza pinguini, Gypaetus Helveticus e Vigia. La breve storia parte dall’assunto che nella natura non ci siano l’omosessualità o la transessualità per dimostrare ogni volta il contrario.

Nicola Falcinella

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