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Annette e Mark Cousins: a Cannes spunti sulla New Generation

I film a cui si è pensato di più all’inizio del 74° Festival di Cannes sono stati due film che non ci sono. Da una parte Parasite, l’ultima Palma d’oro due anni fa, anche per la presenza a sorpresa di Bong Joon-Ho con l’incarico di aprire ufficialmente il festival del ritorno del cinema in sala. Dall’altra Holy Motors, la pellicola di Leos Carax che nel 2012 incendiò la Croisette e poi non ottenne nessun riconoscimento. Il motivo più scontato è che a Carax, che da allora non aveva realizzato altri lungometraggi, era affidato l’onore e l’onere di aprire il concorso con Annette. L’altra ragione perché Holy Motors ricorre spesso, diventa anzi uno dei punti nodali del discorso, nel documentario The Story of Film: A New Generation di Mark Cousins, il regista irlandese noto per i 15 episodi della serie documentaria The Story of Film: An Odyssey (2011): se là ripercorreva l’intera storia del cinema, qui riprende il filo per parlare di ciò che è nuovo e innovativo oggi. Entrambe le visioni sono frastornanti nell’accezione positiva, zeppi di stimoli e riferimenti e forieri di riflessioni e meritano una revisione per apprezzarli con più calma.

Annette può sulle prime lasciare sconcertati anche i seguaci del regista francese di culto (Rosso sangue, Gli amanti del Pont-Neuf, Pola X) perché naturalmente non è ciò che ci si aspetta. Si tratta di un musical molto ambizioso nel voler compendiare la storia del genere, dai classici all’opera-rock fino a La La Land, e insieme voler andare oltre e creare qualcosa di nuovo. In apparenza è meno scoppiettante e con meno trovate, è un film molto complesso e pensato che ha bisogno di tempo di decantazione. Henry (Adam Driver, come sempre calato fino in fondo nel ruolo) è un comico che non fa ridere e usa i suoi monologhi (le uniche parti non cantate del film) come provocazione: ma quanto è sfida e quanto invece è una confessione? Del resto forse in un momento lo ammette: “la comicità è l’unico modo per dire la verità senza essere ucciso”. All’inizio alla storia d’amore travolgente con la celebre cantante Ann (Marion Cotillard), ma dopo la nascita della loro figlia Annette tutto cambia e le ombre dell’uomo emergono sempre di più. La neonata è un po’ Pinocchio e un po’ bambola dei film horror e rivela fin da piccolissima un talento canoro che porta il padre a farla esibire in tutto il mondo richiamando grandi folle. Intanto dal pop-rock (le musiche sono degli Sparks) si passa all’opera di Verdi e Puccini e si volge verso il melodramma. Come in Holy Motors c’è una riflessione sul mezzo e sulle immagini, sfavillanti fin dall’inquadratura iniziale e con un uso di colori molto carichi e contrastanti. C’è ancora l’inconscio a prendere a volte il sopravvento, con un’elaborazione della violenza degli uomini sulle donne e dei rapporti tra i sessi lontana dai discorsi alla moda e ben più interessante e sottile.

Dal canto suo Cousins mostra e riflette sui cambiamenti che la tecnica (il digitale, le go-pro, i telefonini, il moltiplicarsi dei modi di ripresa e degli schermi) ha portato nel linguaggio del cinema in particolare nell’ultimo decennio, conducendo verso nuovi modi di realizzare commedie, film d’azione, horror o documentari. Cousins fa accostamenti, come tra Mad Max: Fury Road e The General di Buster Keaton, meno azzardati di quanto possa apparire e parla tanto di cinema orientale, da Bollywood al tailandese Apichatpong Weerasethakul al filippino Lav Diaz. Un documentario bello e anche ottimista, che mostra la vitalità del cinema e la sua centralità anche nell’era dello streaming.

Nicola Falcinella

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