RecensioniSlideshow

Brigitte Bardot Forever

Il polacco Lech Majewski è uno degli ultimi cineasti intellettuali in circolazione. Un uomo che in gioventù fu campione di lancio del giavellotto, capace di opere ricche, elaborate, colte e seducenti e insieme di esprimersi a parole in maniera affascinante e chiara. Dopo gli studi alla Scuola di cinema di Lodz, che ha formato quasi tutti i grandi autori polacchi, ha esordito nel 1980 con The Knight – Rycerz per poi emigrare in Gran Bretagna e Stati Uniti per sottrarsi alla legge marziale imposta dal governo Jaruzelski. Tra i diversi lavori realizzati negli anni successivi, compresi romanzi, installazioni, opere teatrali, ci sono i lungometraggi Wojaczek (1999), biografia dello scrittore Rafal Wojaczek, e Angelus (2000). Nel 2004 completa Il giardino delle delizie ispirato al dipinto di Hieronymus Bosch e primo capitolo di una trilogia sull’arte che lo fa conoscere anche in Italia: del 2011 è I colori della passione ispirato alla Salita al Calvario di Pieter Bruegel il vecchio con Rutger Hauer e Charlotte Rampling, del 2014 Onirica ispirato alla Divina Commedia. Dopo Valley of the Gods (2019), il regista, che ha doppia cittadinanza polacca e americana e trascorre lunghi periodi in Italia, ha realizzato Brigitte Bardot Forever dal suo romanzo Brigitte Bardot the Wonderful, che in questi giorni inizia un cammino nelle nostre sale.

Un film molto personale e originale, insieme serio e giocoso, come se facesse incontrare Andrei Wajda e Michel Gondry, oltre a Franz Kafka. Una pellicola ispirata a ricordi ed episodi vissuti che celebra il potere dell’immaginazione e la fa diventare strumento di opposizione politica.
Siamo a Katowice in un anno imprecisato del dopoguerra, anche se l’immagine del segretario Wladyslaw Gomulka sulle pareti della scuola e altri elementi fanno pensare alla fine degli anni ‘60. Adam è un ragazzino che vive con la madre, ma non sa nulla del padre se non che è un aviatore e si trova in Inghilterra e nella sequenza iniziale sogna che voli. Dotato di fantasia galoppante, la sua stanza è tappezzata di poster di personaggi popolari del tempo che via via prenderanno corpo. A scuola si trova l’effige di Lenin che domina la palestra, la fotografia di Gomulka (che imbratterà con una pera) o di altri personaggi del partito (ricoperte con le raffigurazioni di filosofi del passato) e rappresentazioni teatrali che celebrano l’amicizia con l’Urss, i successi del comunismo e di nuovo Lenin. A casa sua madre riceve le visite della polizia segreta con le sue insinuazioni e le sue minacce, che indispettiscono il ragazzo, che scappa al cinema guardando Il disprezzo di Jean-Luc Godard nonostante sia minorenne. Qui rivede Brigitte Bardot che trasporta in un mondo immaginario, partendo dalla stanza dell’attrice (impersonata da una Joanna Opozda, che ha avuto il benestare della stessa BB), che si confessa delusa dal cinema, depressa e interessata solo agli animali. Segue l’incontro con Roger Moore nei panni di Simon Templar, che Adam segue con passione ne Il ritorno del Santo. Il culmine è trovare i Beatles tutti insieme in un albergo veneziano assediati dai fan, mentre nel canale passano grandi navi che fanno innalzare pericolosamente il livello dell’acqua. I Fab Four gli daranno una mano nella ricerca del padre, conducendolo rocambolescamente nel misterioso albergo Luna, dove alloggiano star come Marlon Brando (che non si vede), una sperduta Raquel Welch o un’autoironica Liz Taylor vestita da Cleopatra. Ancora si imbatte in Paul Cézanne, che aveva conosciuto da un dipinto su una cartolina ricevuta dal padre, impegnato nell’ennesimo dipinto del monte Sainte-Victoire, oppure il poeta Rabindranath Tagore. Né mancano gli episodi più astrusi, come il cercatore di tartufi che si avvale dei maiali, compreso un giornalista trasformato in suino dalla Bardot. In tutto questo, il ragazzo non perde di vista lo scopo principale, la ricerca del padre, mentre la Polonia sprofonda in un incubo sempre più opprimente (metafora della legge marziale poi imposta dal governo di Jaruzelski) e l’unica possibilità di fuga è un razzo spaziale.
Adam è anti-autoritario per indole, con la fantasia cerca di combattere la paura imposta dal potere, l’Occidente e la cultura pop rappresentano una forma d’opposizione in un regime vegliato da Lenin. Molto ruota intorno alla figura paterna e ci si chiede “è padre chi dà la vita materiale o chi dà la vita spirituale? Quanti padri ho?”. Un discorso che fa tornare alla mente Fedor Dostoevskij (“padre non è colui che genera, ma colui che se ne rende degno”, scriveva ne I fratelli Karamazov), scrittore presente anche nei riferimenti alla Siberia e nei tanti interrogativi morali. Già Cezanne aveva citato come padri Mantegna e altri pittori, ampliando la riflessione sui genitori e sulla paternità.

Brigitte Bardot Forever è un film che mescola il classico con l’avanguardia, che si presenta come un film storico sul passato comunista della Polonia per diventare anche altro. Una pellicola che può spiazzare, ma alla quale bisogna lasciarsi andare seguendo il flusso di fantasia. Ancora una volta emerge tutta la passione (e la conoscenza) di Majewski per la pittura, la musica (tra i tanti brani compare pure “Non ho l’età”), il cinema e la letteratura. Un’opera diversa dal solito ma stimolante e alla quale abbandonarsi.

Nicola Falcinella

Brigitte Bardot Forever

Regia e sceneggiautra: Lech Majewski. Fotografia: Lech Majewski, Pawel Tybora. Interpreti: Kacper Olszewski, Magdalena Rózczka, Joanna Opozda, Weronika Rosati, Andrzej Grabowski, Tomasz Sapryk, Bogdan Kalus. Paese: Polonia, 2021. Durata: 122′.

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close