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Profeti

Nel 2018 Sulla mia pelle è stato un caso: il film ha scosso l’opinione pubblica, costringendo l’Italia a tornare su uno dei casi più dolorosi e scandalosi della nostra storia recente, ossia la morte di Stefano Cucchi. In televisione e sui social molti hanno colto l’occasione per approfondire o (ri)scoprire il caso Cucchi; dall’altro lato, un altro punto molto discusso e analizzato è stato – giustamente – quello della performance attoriale di Alessandro Borghi, che ha lavorato in modo molto preciso ed estremo sul corpo di Stefano Cucchi. Ciò che è passato in sordina è stato il lavoro registico di Alessio Cremonini.

Sì, perché forse non ce ne siamo accorti, ma Cremonini in Sulla mia pelle ha scelto uno stile registico ben preciso e nel suo nuovo film, Profeti, diventa ancor più evidente. Il regista racconta nuovamente di una persona imprigionata in modo ingiusto: Sara (Jasmine Trinca) è una giornalista italiana andata in Medio Oriente per raccontare le barbarie dello Stato Islamico. Una volta rapita, sarà imprigionata nella casa di Nur (Isabella Nefar), sposata con un miliziano e forte sostenitrice dell’Isis. Ecco che fin da subito nasce un rapporto complesso quanto affascinante: Nur diventa contemporaneamente carceriera e amica di Sara. Quest’ultima, un po’ come il protagonista di Old Boy, non viene trattata né troppo bene né troppo male e la prigionia si trasforma sempre di più in un momento di riflessione. Sara durante il film perderà molte delle sue certezze, scontrandosi contro una donna che crede fermamente in ideali maschilisti senza che questi le siano imposti. La caratteristica più sorprendente del film di Cremonini è proprio quella di raccontare entrambe le donne senza pregiudizi; al contrario di ciò che avrebbero fatto in molti, il regista rifiuta la drammatizzazione della prigionia di questa donna per abbracciare invece una regia che tende alla freddezza e allo straniamento dello spettatore. Non empatizziamo con Sara, o comunque non del tutto, ma riusciamo a osservare questa storia con occhio esterno e senza pregiudizi. Questo non vuole certamente essere un modo per giustificare le posizioni dell’Islam più estremo, bensì è un modo per mettere a confronto due donne che hanno fatto scelte diametralmente opposte.

“Questa storia, infatti, non soltanto è metafora di quello che accade in molte parti del Medio Oriente, ma ci riguarda da vicino. Poiché, ormai lo sappiamo, se nell’altra sponda del Mediterraneo inizia un incendio poi le fiamme arrivano anche da noi”, racconta Alessio Cremonini. E in questo senso, la forma scelta dal regista diventa sostanza del racconto. Profeti è difatti un film essenziale che mette al centro le sue protagoniste e che fa di tutto per non distrarre lo spettatore dal confronto fra le due. Musica extradiegetica praticamente azzerata – tranne in un punto preciso -, pochissimi movimenti di macchina – tranne uno, al momento perfetto e usato in modo perfetto – e la scelta di un non-luogo che permette allo spettatore di concentrarsi e di rimanere sempre esterno alla vicenda: il solo modo per capire entrambe le donne.
È importante sottolinearlo: Profeti è un film rigoroso e non semplice. Non solo per le tematiche trattate, ma per le scelte, oserei dire politiche, compiute dal regista. È contemporaneamente un film che merita una o più visioni, in quanto capace di scatenare riflessioni e discussioni per niente banali.

Andrea Porta

Profeti

Regia: Alessio Cremonini. Sceneggiatura: Alessio Cremonini, Monica Zapelli. Fotografia: Ramiro Civita. Montaggio: Marco Spoletini. Interpreti: Jasmine Trinca, Isabella Nefar, Ziyad Bakri, Mehdi Meskar, Omar El-Saeidi, Marco Horanieh. Origine: Italia, 2022. Durata: 109′.

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