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Ancora dalla Berlinale 73: una riflessione sulla sezione Encounters

Un film completamente fuori fuoco, dalla prima all’ultima inquadratura (solo i sottotitoli sono perfettamente leggibili), ma ben a fuoco nelle intenzioni del regista, pure nella riuscita. È In Water del prolifico coreano Hong Sang-Soo, uno che manca raramente i festival importanti e che alla 73^ Berlinale ha portato il suo film nella sezione Encounters, senza riportare premi. Attenzione a non scambiarlo per un’eccentricità da parte di un regista talvolta accusato, a torto, di ripetersi. Superato lo choc del primo impatto straniante, ci si accorge della continuità e degli elementi di novità nella sua ormai lunga filmografia.

In Water

Siamo in una località di mare fuori stagione, quasi deserta. Tre giovani si fotografano sulla spiaggia, poi vanno verso casa, mangiano. Sembra una gita fuori porta, un fine settimana diverso dal solito. Piano piano scopriamo che si tratta di aspiranti cineasti intenzionati a girare un cortometraggio: il regista non ha ancora completato la sceneggiatura, scarta le idee che aveva, rinvia l’inizio delle riprese. Per una volta, i protagonisti di Hong non entrano nei bar, anche se mangiano spesso insieme, seduti nell’appartamento, ma pure sul lungomare. Altro elemento insolito è che non si ubriacano: la ragazza non beve alcolici e fa un’eccezione per un sorso di soju. La novità più significativa è che i protagonisti sono trentenni, non proprio alle prime armi, che si confrontano tra loro e non con registi più maturi e famosi come, forse un po’ autobiograficamente, accade nelle opere degli ultimi anni. Un altro accenno forse personale può essere forse letto in una battuta del terzo, che ha provato a fare il regista ma vuole diventare produttore, ruolo in cui troverebbe più soddisfazione e meno difficoltà.
Il terzetto parla spesso, a coppie o tutti insieme, dei loro rapporti, dei loro obiettivi lavorativi, di ciò che accade. A un certo punto il regista nota una donna che raccoglie i rifiuti lungo la spiaggia e gli scogli durante le sue passeggiate, va a parlarle e si sorprende del suo passatempo. Sarà una svolta cruciale per la sua creatività, prima confusa e offuscata come le immagini sullo schermo. Intanto il regista telefona alla ex (interpretata da Kim Minhee, musa di Hong) chiedendole di poter usare nel corto la canzone che aveva composto per il suo compleanno.
Tanti piccoli tasselli che si compongono a poco a poco: la vita, l’arte, l’amore, il caso, cui si aggiunge il tema ambientale, inserito in un modo molto concreto, senza prediche o teorie. Un film di poco più di un’ora che culmina in un finale bellissimo e toccante che in qualche modo spiega il titolo.

The Cage is Waiting for the Bird

Della sezione Encounters, oltre ai molto belli Here di Bas Devos (vincitore per la giuria) e Le mura di Bergamo di Stefano Savona (nelle sale italiane a metà marzo), da citare The Cage is Waiting for the Bird dell’esordiente Malika Musaeva. Una giovane regista cecena, allieva di Aleksandr Sokurov, che racconta una storia di amicizia e ribellione in Caucaso. È inverno e Yakha e Madina sono due adolescenti che frequentano la scuola e trovano nei giochi nei prati immensi l’unico sfogo dal senso di oppressione sociale che sembra pervadere tutto. Un giorno Madina fugge con un ragazzo e Yakha si ritrova sola, con la madre e la sorella maggiore Heda che non vuole più stare con suo marito. Un film quasi tutto al femminile, dove i matrimoni combinati sembrano un destino ineluttabile contro il quale c’è solo la fuga. La regista lavora benissimo sul contrasto tra primi piani delle ragazze e campi lunghi degli spazi vasti e spesso innevati.

da Berlino, Nicola Falcinella

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