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Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera

Mostrato in anteprima all’ultimo Festival di Venezia, Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera arriva nelle sale italiane distribuito da Lab 80. Il film documentario, firmato dal figlio del grande regista russo è un racconto intenso della vita e delle opere di un autore, per certi versi enigmatico, che ha segnato la storia del cinema e che non smette, a poco più di trentatre anni dalla morte, di essere punto di riferimento per giovani cineasti.
Realizzato con materiali d’archivio, registrazioni audio inedite e nuove immagini (quasi tutte ritrovate a Firenze), Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera è un emozionante viaggio diviso in capitoli e raccontato dalla voce del cineasta: uno sguardo d’artista che si mescola ai ricordi (il padre poeta, la genesi delle sue opere, il supporto dell’amata moglie, la casa in campagna, l’Europa) e alle riflessioni sul cinema come arte maiuscola e all’arte come alimento della vita. Ma il viaggio di Tarkovskij dentro Tarkovskij non può prescindere da una riflessione ancora più profonda, fino a cogliere l’essenza della natura umana e il suo lato spirituale, fondamentale in tutta la sua filmografia. Una religiosità, quella del regista russo, che sfugge a qualsiasi confessione, che nei film non traspare dunque come racconto di un devoto, ma come segreta eccezione della materia tangibile: un mistero che pervade le cose terrene, le ammanta di un’aura arcana, interrogando l’uomo sulla relazione indissolubile che vibra tra visibile e invisibile. E se nel cinema di Tarkovskij il mistero cerca la via della rappresentazione per immagini – un paradosso se ci pensiamo – lo si deve forse alla presenza costante del padre, capace di influenzarne l’arte anche quando fisicamente scompare dalla vita del figlio.
E a proposito del padre del regista, i versi di Arsenij Tarkovskij, considerato uno dei più grandi poeti russi del Novecento, contrappuntano il film e mettono in relazione due artisti, creando una comunione poetica che Andrej non ha mai negato, anzi. Il figlio del regista per questo va a ripescare magnifiche fotografie di famiglia che in filigrana lasciano intravedere la coincidenza tra le due anime. Al timone del racconto non nasconde uno sguardo partecipe, da spettatore ammirato: il regista Tarkovskij junior si muove tra i materiali assemblati come un bambino che esplora per la prima volta i luoghi di lavoro di papà a lungo fantasticati. E solo per il fatto di esserci e di poterli raccontare, si pone in continuità affettiva ed emozionale con padre e nonno.
Basterebbe solo questo a giustificare la visione di un film che ha poi altri meriti, perché rispolvera filmati girati sui set in Russia, in Svezia e in Italia (patria adottiva del regista), mostrando Tarkovskij con gli attori, concentrato sugli spartiti di sceneggiatura, dietro la macchina da presa,  e ponendoci molto vicino al suo universo lirico.

Da L’infanzia di Ivan a Sacrificio, Alpha e Omega dell’opera magnifica del maestro, il documentario è un meccanismo intrigante che finge di svelare mentre accentua l’enigmaticità che scorre negli otto film di una filmografia tutt’altro che copiosa, toccando il picco dell’emozione forse tra Stalker Nostalghia, quando la fusione tra voce, repertorio e segmenti tratti dai film, arrivano allo spettatore come schegge di capolavori che, se da una parte consegnavano definitivamente Tarkovskij alla Storia del cinema, dall’altra lo allontanavano dall’Unione Sovietica. Esule incompreso in terra russa (per poco, fortunatamente), genio rispettato in Europa.

Alessandro Leone

Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera

Regia: Andrej A. Tarkovskij. Fotografia: Alexey Naidenov. Montaggio: Michal Leszczylowski, Andrej A. Tarkovskij. Origine: Italia/Russia/Svezia, 2019. Durata: 97′.

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