Berlino 2018

Berlinale 2018: racconti generazionali e folgorazioni oltre lo sport

Partiamo da Grass, il nuovo film di Hong Sangsoo presentato in Forum. Diciamo subito che non è mai facile parlare di un film di Hong, tutto il suo cinema è un rimando ai film precedenti e alla vita che gli scorre accanto: l’attrice dei suoi ultimi film è la nuova compagna e molto del suo scrivere deriva dal fare film e vivere accanto a un attrice. Hong è regista grassiperproduttivo, l’anno scorso aveva un film quì a Berlino, due a Cannes e un altro presentato a Istanbul, forse troppo! Tutti film che derivavano dai precedenti e portavano sempre a un cortocircuito affascinante. Grass è delizioso e spassoso, meno ostico di altri suoi lavori: si sviluppa dentro a un caffè in un quartiere tradizionale di Seoul. Sotto le note di Schubert, Wagner o Offenbach, Hong ci offre un’altra variazione dei suoi motivi ricorrenti, quel che succede quando uomini e donne si incontrano. Il film inizia con una ragazza che accusa un amico di essere responsabile del suicidio della sua fidanzata. Si susseguono altre conversazioni tra altri avventori del locale, giovani e meno giovani discutono di amore e di storie, sono quasi tutti scrittori o teatranti o attori. Le varie storie vengono intermezzate da una donna seduta al suo portatile, lei ascolta a caso frammenti di dialogo e li sviluppa ulteriormente. È lei l’autrice dei ritratti delle relazioni successive? Le piccole storie e i temi si rispecchiano, è tutto un giorno di rimandi e ripetizioni tra i vari racconti che è come si sovrapponessero. Anche in questo film Hong la grappa coreana scorre a fiumi, l’alcool va e viene e come i giochi che si sviluppano tra i sessi. È un bellissimo film sulle relazioni tra esseri umani, sulla circolarità delle storie e sulla ripetitività della vita.

Mentre il film di Hong è un universo di storie tra persone, da Panorama invece arriva un film che racconta storie di giovanissimi tra amori e scoperte di sé. River’s Edge di Isao Yukisada, film di apertura della sezione, è ambientato a Tokyo nel 1994. Inizia con un’intervista a una ragazza che parla dell’importanza di un orsacchiotto. Poco dopo un oggetto in fiamme cade da un grattacielo di notte, un giovane nudo è legato dentro a un armadietto scolastico. Un inizio promettente e affascinante che poi però si perde: Yukisada pone molte piste e salta bruscamente e imprevedibilmente tra i vari fili narrativi. Il ragazzo nudo è Ichiro, gay represso che viene rapito dai suoi compagni violenti ma sembra trarre forza dalle sue ferite. Un giorno farà una macabra scoperta in un fiume vicino inquinato da rifiuti industriali; rende partecipe la sua migliore amica, una ragazza di nome Haruna (la giovane donna dell’orsacchiotto nella prima scena). Lei ha una relazione con un giovane bullo, Kannonzaki, che con lei è carino e gentile ma che ama il sesso ruvido con altre ragazze. Nel corso di uno di questi incontri trasgredisce senza più confini con un’amica di Haruna. Ci sono altri personaggi, come la ragazza cicciona e introversa che legge ossessivamente i diari della sorella incinta, c’è anche la bellissima e androgina Kozue, una modella bulimica che si seppellisce in montagne di cibo durante la notte. Il film è tratto da un famoso manga e ne rispecchia molti stilemi, il regista giapponese intreccia abilmente queste storie ma non riesce a spingere fedelmente su un genere preciso, ondeggia paurosamente tra dramma e commedia, grottesco e splatter improvviso. Il film forse diverte quando non dovrebbe, ne esce così un prodotto godibile ma non del tutto riuscito, che alla fine non va oltre al ritratto sociale di una generazione alla ricerca del proprio perché.

infinite-footballDue film che dialogano tra di loro sono invece quelli di Corneliu Porumboiu e di Julien Faraut, da una parte il calcio e dall’altra il tennis. Due film che sembrerebbero parlare dello sport ma vanno oltre al gioco e ci parlano della vita. Infinite Football del geniale regista rumeno prosegue il discorso sul calcio iniziato con Second game, assoluto capolavoro di quattro anni fa, un film dialogo con il padre (arbitro) mentre le uniche immagini del film sono quelle della partita Dinamo Bucarest – Steaua Bucarest (squadra dell’esercito contro quella della polizia) del 1988 in pieno periodo della destituzione di Ceausescu.
In questo film folle e geniale il protagonista è Laurenţiu Ginghină, un amico di Porumboiu che sogna di cambiare le regole del gioco del calcio, quelle attuali sono sbagliate e quindi da modificare, il gioco deve essere razionalizzato e liberato. Come? Gli angoli devono essere arrotondati, i giocatori assegnati a zone e sottogruppi, molte regole sul fuorigioco devono essere riviste. La star deve essere la palla non i giocatori, è quella la cosa che seguiamo e allora dobbiamo velocizzare la palla. Da giovane Ginghină si fratturò tibia e perone in due scontri sul campo di calcio e non poté così proseguire il suo sogno. Oggi è un burocrate locale con un lavoro poco interessante, e allora preferisce sognare cercando di modificare le regole del gioco più famoso del mondo. Porumboiu lo ascolta, fa domande e si diverte a provocarlo un po’. I monologhi di Ginghină sono così ricchi che potresti pensare che qualcuno li abbia scritti in anticipo, procedono sempre dallo stesso argomento, ma vanno sempre oltre. Con questa utopia del cambiamento delle regole è evidente che stiamo parlando della ricerca di una società diversa, più libera e meno violenta e con meno sofferenze. Porumboiu sembra dirci che tutte le strade portano al calcio, ma che da qui prendono direzioni sempre diverse, percorrendole ci portiamo dietro quello che abbiamo lasciato e dovremmo sempre andare alla ricerca di qualcosa di meglio.

csm_201818607_22229_55052f2e51L’empire de la perfection di Julien Faraut è stata un’altra folgorazione nei primi giorni del festival. È un film teorico, godardiano sul tennis e sul cinema: il regista francese parte mostrandoci alcune sequenze di repertorio su un tennista che sta servendo, sono immagini in bianco/nero e la voice off ci spiega il movimento del servizio nel tennis, la perfezione del gesto, la curvatura del corpo, il tempo di impatto sulla palla, il posizionamento dei piedi. Per arrivare a un colpo perfetto c’è bisogno di precisione, metodo, esercizio. Cose che valgono per tutte le cose della vita. Dopo queste immagini arriva un’affermazione di Jean-Luc Godard secondo cui “Il cinema mente, lo sport no”. Questi sono gli insoliti punti di partenza per uno studio sul corpo e sul movimento. Facciamo presto visita all’Archivio sportivo nazionale francese dove sono sepolti alcuni tesori di celluloide, tra i quali dei nastri 16 mm sulle performance di John McEnroe al Roland Garros 1984. Una troupe cinematografica ha catturato ogni movimento dell’irascibile tennista americano, seguiamo così tutto il suo torneo al rallentatore e da diverse prospettive. Vediamo la sua incredibile curvatura del corpo quando si appresta a servire: un movimento unico che solo vedendolo si può capire fino in fondo. Sono un amante del tennis e non ho mai visto nessuno servire come McEnroe, una postura assolutamente innaturale ma con un’efficacia clamorosa. Il grande campione americano è stato completamente anti-convenzionale, talento smisurato, voglia di allenarsi zero e sul campo da gioco molti lo ricordano soprattutto per il comportamento. Ha giocato tutta la sua carriera contro le sue famigerate incazzature ed è riuscito a vincere molti tornei lo stesso. La scoperta di questo straordinario archivio ci mostra il Roland Garros del 1984 quasi in “tempo reale”, arrivando fino alla leggendaria finale contro Ivan Lendl, una partita memorabile che la musica trasforma quasi in opera rock. È un partita epica a livello della famosa finale di Wimblendon con Borg di quattro anni prima, partita narrata in un film recente, neanche lontanamente paragonabile a questo lavoro. Faraut s’interroga (la voce off è di Mathieu Almaric), mentre vediamo queste immagini, sulle sue irrazionalità tecniche e psicologiche: com’è possibile che con questa insensatezza sia diventato il fenomeno che tutti ricordiamo? La potenza del cinema e di queste riprese formidabili ce lo fanno comprendere nel minimo dettaglio, il film diventa un’immersione dentro al gioco del tennis che ci viene restituita in tutta la sua follia, e nei primi piani di McEnroe si vede benissimo la personalità solitaria di un giocatore in lotta contro tutti e contro se stesso.

da Berlino, Claudio Casazza

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