Berlinale 2020FestivalSlideshow

Berlinale 70: entra nel vivo il concorso

Ai nostri giorni, una donna che cammina lungo un fiume si imbatte in due scheletri umani appaiati. Andiamo indietro alla fine dell’800 in Oregon e Cookie lavora come cuoco al seguito di una compagnia di cacciatori di pellicce. Mentre raccoglie funghi nel bosco, si imbatte nell’immigrato cinese King Lu, in fuga da un gruppo di russi. Inizia così First Cow dell’americana Kelly Reichardt, il miglior film presentato finora in concorso al Festival di Berlino. I due stringono un rapporto, prendono una casa insieme in un villaggio e, complice l’arrivo della prima mucca del titolo, iniziano un’attività grazie allo spirito imprenditoriale dell’asiatico. La vendita dei biscotti prodotti con il latte munto di nascosto nottetempo al bovino del vicino si rivelerà un affare redditizio. La regista di Meek’s Cutoff e Certain Women filma in 4:3 e con luce naturale in pellicola, mostrando molto la grana, un western intimista di amicizia maschile ma non virile. Un film fatto di dettagli, dalle atmosfere seducenti, una conferma per una delle maggiori cineaste americane, ancora poco nota al pubblico.

In gara anche Le sel des larmes di Philippe Garrel sulle vicende sentimentali del giovane Luc. La prima mezz’ora sembra il remake de Il posto di Ermanno Olmi: un giovane di provincia va a Parigi per sostenere un esame, alla fermata dell’autobus incontra una coetanea molto carina, Djemila, parlano un po’ e si promettono di rivedersi più tardi. Iniziano una relazione, ma il protagonista deve tornare a casa, in attesa dei risultati della selezione per una scuola di specializzazione in ebanisteria. Al paese ritrova l’ex compagna di scuola Génevieve mettendolo in difficoltà, finché andrà a Parigi per frequentare l’istituto e andare a convivere con Betsy. Un film discreto, in bianco e nero, molto classico, con inquadrature molto fisse, sull’amore, sull’amare e l’essere riamati, sull’inaffidabilità dei sentimenti, sul caso e il destino. È interessante com’è reso il rapporto di Luc con il padre anziano e malato, che gli ha trasmesso la passione per la lavorazione artigianale del legno.

Promosso anche Persian Lessons dell’ucraino Vadim Perelman, presentato nella sezione Berlinale Special, film sui campi di concentramento che riesce a trovare uno spunto originale per distinguersi in un filone molto frequentato. È il 1942 e il giovane ebreo belga Gilles (Nahuel Perez Biscayart di 120 battiti al minuto) è stato arrestato e durante il trasporto al campo ha scambiato un panino per un libro sulla Persia con un altro prigioniero. Un baratto che pare irragionevole e che gli verrà utile. Per cercare di salvarsi dice di essere persiano, mostrando il volume, e caso vuole che il responsabile delle cucine del campo, Klaus Koch (Lars Eidinger), voglia imparare la lingua farsi per andare in Iran ad aprire un ristorante alla fine della guerra. Gilles deve vincere la diffidenza iniziale e le invidie dei soldati che denunciano il suo essere ebreo. Gilles riesce a inventarsi una lingua da zero e allontanare i sospetti, continuando le lezioni e gli incontri con l’ufficiale che gli affida altri incarichi. Un film solido, con retorica contenuta, qualche passaggio divertente e un epilogo ben riuscito. Interessante l’uso dell’inganno per mettersi in salvo (si era visto in altra maniera in Train de vie) e della lingua.

da Berlino, Nicola Falcinella

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close