Locarno 2014

Cronache da Locarno67: 11 agosto

dos disparsoPrimo film della giornata: Dos Disparos (trad. due spari) dell’argentino Martìn Rejtman. Un ragazzetto sguazza in piscina, si mette a falciare il prato, quindi fruga nel capanno degli attrezzi e trova un revolver. Va in camera sua, si siede sul letto e si spara due colpi: il primo alla testa e il secondo al petto. Sopravvive, ma uno dei due proiettili gli rimane incastrato da qualche parte nel torso. E come fa, vi chiederete, a spararsi un secondo colpo nel petto se si è appena fracassato il cervello? Mistero. Il film di Rejtman prende spunto da Dillinger è morto di Ferreri, cerca di esserne la versione più pepata ma va subito a ramengo con un pastrocchio di storie che si intersecano senza mai toccarsi per davvero. L’idea è quella di gettare un sasso in uno stagno e osservare le onde che si inanellano l’una dentro l’altra, fino a quando le increspature si perdono sulla superficie dell’acqua e tutto torna piatto. Prima si segue la storia del ragazzo che ha tentato il suicidio, allora ci si sposta sul fratello, sulla sua fidanzata, sulla madre che va al mare con un’amica, gli amici dell’amica e via discorrendo. Un fatto banale ne determina altri ancora più ordinari, dal microscopico al macroscopico in un lavoro di regia totalmente fine a se stesso per quanto ben congegnato. Il problema è che un film del genere potrebbe durare un’ora come sedici ore, certo non un’ora e quaranta: troppo per sviluppare approfonditamente il concetto, troppo poco per lavorare sul senso del tempo che le nostre azioni presuppongono.traumland

Strane cose succedono in questa sessantasettesima edizione. Talmente strane da definirsi incredibili. Una delle grandi rivelazioni della kermesse è un’opera prima di una giovanissima regista svizzera, Petra Volpe. Peccato che i selezionatori non se ne siano accorti, preferendo gettare la pellicola in questione, Traumland, nel calderone del Panorama Suisse anziché nel Concorso Internazionale dove meritava di stare. Valli a capire gli svizzeri. Comunque Traumland è una storia corale su modello di Michael Haneke e Ulrich Seidl, che parla in realtà di tante storie diverse ma tra loro complementari. Siamo alla vigilia di Natale, e a Zurigo ci sono alcune persone che si preparano ai festeggiamenti: un’assistente sociale di mezza età e parecchio sovrappeso, sposata, ma che (più o meno) di comune accordo con il marito, si rifugia in una camera di hotel per farsi legare e fottere da un burbero poliziotto; una prostituta bulgara che batte i marciapiedi finendo per diventare la cliente di un signore sulla strada dell’anzianità, abbandonato da moglie e figlia; la vicina di casa della prostituta, che invita a cena un amico vedovo sperando di combinarci qualcosa; una moglie bella, ricca e incinta che scopre una confezione di lubrificante anale sul sedile posteriore dell’auto del marito, lo stesso prodotto che troviamo nell’ufficio dell’assistente sociale e di cui usufruiva la meretrice bulgara. Tutto si collega, un battito d’ali scatena uno tsunami e uno tsunami incrina le fragili vite di questi personaggi soli, battuti e sconfitti. Che altro dire? In Traumland c’è la leggerezza della neve, la profondità dei sentimenti, lo spessore della condizione umana, la tragicità dell’esistenza. Insomma, il Sacro Spirito del Nord. Al termine di questo burrascoso venticinque dicembre, qualcuno sarà perdonato, qualcun altro no. Così è la vita.

gli incubi diDario Argento ha presentato Gli incubi di Dario Argento, una serie di cortometraggi prodotti sul finire degli anni ottanta dalla Rai per volontà di Enzo Tortora: si tratta di lavori brevissimi, massimo tre minuti ciascuno, che non sembrano neanche girati dal maestro del brivido tanto sono brutti e sciattoni. Naturalmente il divertimento è assicurato, splatter, teste mozzate, bambine fatte a pezzi e storie grottesche senza né capo né coda: in un episodio c’è un tizio che vede dalla finestra la vicina di casa assalita da un improbabile maniaco mascherato; il nostro si improvvisa eroe e si cala sul balcone della donna con una corda che casualmente aveva in salotto (!), la corda si rompe e lui viene aggredito da un serpente volante. In un altro una biondona viene a sapere dal notiziario che c’è in giro una strana malattia che si prende dai gatti: il corpo si riempie di vermi che ti mangiano dall’interno. La ragazza spaventata corre allo specchio e scopre che una cosa strisciante le sta sbucando da un occhio: prende il coltello e si acceca disperata. In un altro ancora una tizia caccia una fattucchiera che le ha pronosticato cose brutte solo per finire avvelenata dalla stessa: in preda alla follia, si squarcia il ventre e si estrae le budella. Ma il più delirante parla di un uomo che si sveglia febbricitante nel cuore della notte mentre attorno a lui succedono cose strane: il cagnetto fa dei suoni tipo indigestione, un’ombra minacciosa simile al logo di Batman appare sulla parete, infine il nottambulo si ritrova un coltellaccio piantato in gola, ha una specie di crisi epilettica e si trasforma in una bocca gigante che divora il cane in un sol boccone…los hongos

La giornata si è chiusa con due film della sezione Cineasti del presente: il colombiano Los Hongos di Oscar Ruiz Navia e il messicano Navajazo di Ricardo Silva. Per quanto riguarda il primo, bisognerebbe vietare a Chatrian di selezionare altre pellicole latinoamericane. Questa è la terza o la quarta della rassegna, e non ce n’è una che si salvi: tutte uguali, omologate, pallosamente cerebrali. Stesso modo di raccontare banalissime (non) storie, stessi noiosissimi scenari suburbani, stesse facce e stesse azioni. Qui ci sono due ragazzi che realizzano graffiti sui muri della città, alla sera vanno alle feste a ballare a ritmo dell’orribile musica che si ascolta da quelle parti, balla canta e bevi, bevi canta e balla. Esattamente ciò che fanno i protagonisti di Dos Disparos e de La Princesa de Francia… Sembra che la gente che vive in quei paesi non sappia fare altro.

navajazoDiverso discorso per Navajazo. Lo stile è lo stesso di Fils de…, documentario, pornografia (esplicita questa volta), luce naturale e riprese quasi amatoriali. Siamo a Tijuana, dove ogni giorno si celebra la fine dell’umanità tutta tra prostitute, registi di film porno, drogati, musicisti fuori di zucca e ancora prostitute, gente che si pesta per divertimento, macerie, sudore, caldo e baracche. Lo schifo allo stato puro. C’è molto Messico in questa pellicola perché il Messico siamo noi.

da Locarno, Marco Marchetti

 

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