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Cronache d’amore dal Far East Film Festival

Un’edizione sicuramente da ricordare questa del Far East Film Festival, le premesse erano buone e le aspettative alte. Segnaliamo alcuni titoli che probabilmente conquisteranno l’Occidente, un percorso di amori in stile #feff.

Iniziamo dal film del taiwanese Liai Ming-yi, I Weir Do. Si prospettava un cult e così è stato, il lungometraggio girato interamente con un IPhone Xs si è aggiudicato il Crystal Mulberry Award e il Purple Mulberry Award conquistando l’intera community fareastiana.
Chen Po-ching soffre di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), la sua vita segue uno schema ben preciso fatto di orari, colori, scelte, tempi, spostamenti prestabiliti in un vortice infinito di disinfettanti e pulizie maniacali. Il 15 di ogni mese è la giornata dedicata al pagamento di affitto, bollette, spese e il suo passo è scandito dall’ansia di esporsi il meno possibile all’ambiente circostante. Munito di mascherina, guanti e impermeabile affronta la sua battaglia, ma le sue certezze crollano quando trova il supermercato di fiducia chiuso, a questo punto è costretto a cambiare i suoi piani e raggiungendo un altro supermercato, rigorosamente della stessa catena, si imbatte in Chen Ching, la sua versione al femminile con tanto di mascherina, guanti e impermeabile.
Po-ching e Ching condividono la stessa malattia che, oltre a essere un ostacolo alla vita normale – che poi chi decide cosa sia normale o e cosa no? – li rende entrambi bizzarri e allo stesso tempo adorabili, è impossibile non innamorarsene. La metafora della nascita di un amore fatto di due solitudini strampalate e buffe è rassicurante, soprattutto se viene presentata in maniera ironica, con una scrittura puntuale ad opera dello stesso Liai Ming-yi. Però si sa, gli equilibri sono pur sempre fragili e ci sono avvenimenti al di fuori del nostro controllo, ed ecco che il formato che passa da 1:1 a 16:9 coincide con un cambio di registro narrativo che lascia spazio ad un dramma introspettivo inizialmente disorientante. Liai Ming-yi, dunque, gioca al pubblico gli stessi scherzi del destino che prevede per i suoi personaggi: impone un cambiamento, rende irriconoscibili quelli cui teniamo e ci lascia lì soli e attoniti a riflettere e rimettere insieme i pezzi.

Crazy Romance, l’opera prima della regista coreano Kim Han-Kyul è riuscita a superare la barriera della commedia romantica adatta solo ad un certo tipo di pubblico, sorprendendo anche i più diffidenti, me compresa.
I protagonisti sono Jae-hoon e Sun-Young, rispettivamente interpretati dalla dolcissima Kong Hyo-Jin e dal figaccione Kim Rae-Won, visi conosciuti soprattutto dagli appassionati di K-drama e che rappresentano perfettamente la crisi generazionale davanti alla quale si trovano tanti trentenni. Jae-hoon lavora in un’agenzia pubblicitaria e affrontala rottura con la sua ex ragazza ingerendo quantità importanti di Soju. Questo va ben oltre il ragazzo carino che si ubriaca perché soffre per amore, Jae-hoon ha un problema di alcolismo e spesso si sveglia senza ricordare ciò che ha fatto la sera prima. Una mattina il giovane, controllando il proprio cellulare, si rende conto che in tarda serata ha trascorso due ore a telefono con Sun-young, che ha cominciato a lavorare nella sua agenzia il giorno prima. Si tratta di una situazione imbarazzante e pare che le abbia confidato troppo.
Senza dubbio non è il classico film romantico, quel Crazy davanti a Romance la dice lunga ed è stato il motivo che mi ha incuriosito e portato alla visione. La pellicola presenta in maniera trasparente le problematiche legate alla società sudcoreana in merito alle pressioni lavorative, l’esigenza di rifugiarsi in fiumi di Soju, i karaoke fino a notte fonda e il ruolo della donna in ambito professionale, sempre al centro di dicerie e diffamazioni, soprattutto se il suo comportamento viene percepito al di fuori degli schemi sociali.
La regista riesce a presentarci tante tematiche cruciali non scadendo mai nel banale, la chiave è proprio nella scrittura, ad opera della stessa Kim Han-Kyul, in perfetto equilibrio tra leggerezza, umorismo e intelligenza. Forse questo è il motivo che ha reso Crazy Romance un successo anche in patria, l’essere non definito in un solo genere cinematografico.

Altro film coreano, Vertigo, diretto da Jeon Gye-soo e interpretato da Chun Woo-hee. Ci presenta un dramma individuale e collettivo che rispecchia alcune delle tematiche ricorrenti nelle pellicole sudcoreane, soprattutto se hanno al centro storie femminili.
Seo-young, trentenne in carriera impiegata in un’azienda con sede in un grattacielo di Seoul, trascorre una vita afflitta da crisi e difficoltà in tutti gli ambiti. Il suo è un lavoro temporaneo che dipende interamente dall’arbitrio dell’azienda e la sua relazione clandestina con il superiore Jin-soo (Yoo Tae-oh) è morbosa e instabile. Il rapporto con la madre è difficoltoso, mentre quello con il padre è praticamente inesistente. Come se non bastasse soffre di una patologia che le porta ad avere vertigini e disturbi all’udito, metaforicamente rappresentate dal senso di estraneazione nel quale si rifugia la protagonista per sfuggire alle molestie e i ricatti di un ambiente lavorativo misogino. Dagli occhi di Chun Woo-hee traspare un’angoscia pregnante, occhi ai quali Kwan-woo (Jeong Jae-kwang) non riesce a resistere e che inizia a seguire con discrezione dalle vetrate del grattacielo, perchè Kwan-woo fa il lavavetri e osserva dall’esterno giorno dopo giorno Seo-young, senza che lei se ne accorga.
Lo snodo narrativo importante si ha quando Seo-young inizia a ricambiare platonicamente le attenzioni di Kwan-woo, solo con lo sguardo, senza incontrarsi e toccarsi mai. Le immagini ricordano le suggestioni di Ferro 3 del maestro Kim Ki-duk, un amore non detto, fatto di due solitudini sofferte e con un muro che li divide, in questo caso un vetro all’interno del quale lei è prigioniera e al di fuori del quale c’è la dimensione di libertà rappresentata da Kwan-woo che sfida le leggi di gravità per starle vicino.
Una delle scene più belle e spettacolari di tutto il film è rappresentata da un bacio senza tempo, spazio e gravità in bilico tra vita e morte che recita: “le stagioni stanno cambiando, presto soffierà il veno freddo. Ripensare alla stagione scorsa è terribile. E’ un lungo bacio. Ora, voglio risalire.”

Tatiana Tascione

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