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Il sol dell’avvenire

Moretti tra storia e riferimenti autobiografici

L’ultimo capolavoro di Nanni Moretti intreccia tre film in uno. Il filo conduttore principale narra il dramma vissuto dai comunisti italiani nel 1956, allorché le truppe sovietiche invasero l’Ungheria, il cui governo si era poco prima schierato con i lavoratori polacchi, mettendo a repentaglio la stabilità dei regimi stalinisti subordinati all’URSS nel Patto di Varsavia. Il secondo riguarda il contrasto tra il cinema d’autore del passato (e in parte ancora del presente), che consentiva a registi e produttori una libertà creativa pressoché assoluta, e quello odierno, dominato dalle piattaforme online e dal mercato, con le loro regole ferree che riducono i registi a sacrificare i loro talenti. L’ultimo filo riguarda la crisi coniugale che investe il regista, Giovanni, e la moglie, interpretata da Margherita Buy. Tutti i tre film nel film sono incastonati di camei autobiografici, tratti dai vissuti del regista – come le canzoni cantautorali italiane degli anni ’70 –, da riferimenti indiretti ad alcuni suoi film e alla poetica che ha ispirato i grandi registi a lui coevi o suoi maestri, come Fellini. Un film a suo modo politico: sulla storia italiana, sul cinema, sulla crisi della famiglia. Un film ironico quando non sarcastico, talora amaro, con un finale sorprendente, di storia controfattuale, dove i protagonisti dei film sfilano gioiosi accompagnati da molti attori e tecnici che hanno lavorato per Moretti.

Giovanni sta girando Il sol dell’avvenire, un film dove il rifiuto radicale del regime sovietico si mescola con la nostalgia per il socialismo umanitario e democratico delle origini e con la speranza che il futuro torni a riservarci un’equità sociale e una libertà tipica del socialismo di fine ‘800. Ricostruendo con un assistente un interno di una sezione comunista degli anni ’50, Giovanni strappa da un manifesto il ritratto di Stalin salvando quello di Lenin. Nella scena successiva il segretario di una sezione del PCI illumina la piazzetta del quartiere dove è appena giunta l’elettricità. Seguendo le liturgie staliniste, il direttore esalta le “conquiste” del socialismo ungherese. Nessuno sa che l’Ungheria sta per essere invasa dall’Armata Rossa.
Il 23 ottobre 1956 i tanks sovietici varcano il confine e marciano pressoché indisturbati fino a Budapest. Il loro intento è destituire il primo ministro Imre Nagy, un comunista sui generis, che vuole riconoscere i diritti civili, introdurre la demo crazia liberale, destatalizzare l’economia, tutelare i contadini e far uscire l’Ungheria dal Patto di Varsavia. Cerca quel “socialismo dal volto umano” che nel 1968 cercherà Dubcek per la Cecoslovacchia. La rivolta del popolo ungherese sconvolge i piani sovietici. La risposta è brutale: i carri armati sparano contro la popolazione. Nagy incita alla resistenza.
In Italia si apre un aperto conflitto tra Giuseppe Di Vittorio, il leader della CGIL che si schiera apertamente con i rivoltosi, e Palmiro Togliatti, filosovietico. 1l PCI si lacera. La direzione resta compatta attorno al leader infallibile. Solo Antonio Giolitti si dissocia. Non così gli iscritti. Molte sezioni mandano appelli alla Direzione e all’Unità. Silvio Orlando e la sua compagna, Barbora Bobulova, impersonano le lacerazioni nel partito: chi è per l’obbedienza a tutti i costi, come il fedele Orlando, chi per i valori così miseramente traditi (Bubulova). Il personale del circo non ha dubbi: sta con Nagy e i rivoltosi. Bubulova promette loro aiuti, ospitalità e solidarietà.

In parallelo partono gli altri due temi del film. La maniacalità ossessiva di Giovanni ha logorato l’amore della coppia. Lei va da uno psicoanalista (un topos del sarcasmo morettiano), ma non riesce a confessare al marito la sua intenzione di lasciarlo. Anche con la figlia i rapporti non sono semplici: è incaricata di costruire la colonna sonora del film, ma è assente dalla vita familiare. Si è innamorata di un anziano diplomatico ungherese. I genitori dapprima disapprovano, e solo con il tempo accettano questo amore così intenso e dolce.
Margherita Buy è impegnata nella produzione di un film incentrato sulla violenza, diretto da un giovane regista privo di talento, che sembra sfornato da una scuola di cinema che ignora i classici e obbedisce solo al mercato. Ogni tanto Giovanni si reca sul set, e coglie la distanza incolmabile tra la sua idea di cinema e quello dominante. Una sera arriva mentre si sta per girare la scena finale del film. Un gangster si accinge a rare a un membro di una gang rivale. Non vi è scavo psicologi0co, nessuna emozione, solo un’esecuzione trucida e pulp che dura pochi istanti. Moretti si scaglia con veemenza contro il regista e intrattiene la troupe per tutta la notte. E il passaggio chiave del film, una specie di manifesto poetico contro il declino del cinema d’autore. All’alba, esausto, cede alle proteste della moglie e l’insulso finale viene girato.
ll rapporto con la moglie si aggrava. Va a vivere da sola, cerca uno spazio vitale per sé. Giovanni non si rassegna. Rimasto bloccato e senza risorse, il film non può procedere. Dopo molte insistenze, Giovanni accetta di incontrare due giovani, saccenti manager di Netflix, che di fatto pretendono una riscrittura del film, specie nel finale, che prevede il suicidio di Orlando, devastato dal dualismo tra obbedienza e ideali. Giovanni rifiuta, e la moglie lo accusa di essere un cocciuto irrealista e antimoderno.

Fortunosamente, Giovanni trova dei finanziatori sudcoreani, entusiasti del film. Le riprese ripartono in un clima festoso. Quando Giovanni, con il cappio al collo, spiega ad Orlando la scena del suicidio, cambia idea e decide di riscrivere il finale, aprendolo alla speranza anziché chiuderlo nella disperazione. Orlando ha risolto il suo dubbio amletico: va sotto le finestre di Botteghe Oscure e legge una lettera aperta, con molti firmatari. La scena allude a un fatto reale, il famoso appello dei 101 che chiesero a Togliatti di cambiare linea e di sostenere i rivoltosi contro l’URSS e il Patto di Varsavia. Il quotidiano del PCI non pubblicò l’appello. Una grande manifestazione di popolo lungo i Fori imperiali festeggia l’addio allo stalinismo da parte di Togliatti e della dirigenza comunista. Il sol dell’avvenire torna ad essere un segno di speranza, un’utopia positiva contro l’ingiustizia sociale di oggi.

A margine, il film cita alcune opere prodotte da Moretti anni prima. Il dileggio più esilarante attacca l’ineleganza degli zoccoli, equiparati a una malriuscita pantofola (il rinvio è ad una celebre invettiva in Bianca). Notevole è anche la sequenza in cui Moretti gira di notte per Roma non più in Vespa, ma in monopattino. Il regista non nasconde i propri tic, le proprie manie, le proprie fisime, il proprio carattere. Prende le distanze da sé e dal “morettismo” nel più morettiano dei suoi film, di certo il più acuto e il più divertente. Non un testamento, semmai un congedo, l’aprirsi di una nuova ricerca.

Eva Pugina

Il sol dell’avvenire

Regia: Nanni Moretti. Sceneggiatura: Francesca Marciano, Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella. Fotografia: Michele D’Attanasio. Montaggio: Clelio Benevento. Musiche: Franco Piersanti. Interpreti: Nanni Moretti, Margherita Buy, Valentina Romani, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Flavio Furno, Mathieu Amalric, Teco Celio. Origine: Italia/Francia, 2023. Durata: 95′.

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