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SPECIALE La favorita

favorita1Inizio XVIII secolo. La Regina Anna Stuart regna su Inghilterra, Scozia e Irlanda. A Sud il suo esercito è in guerra contro la Francia. A corte si trascorre il tempo scommettendo sulle corse delle anatre e mangiando frutta tropicale tra lusso e sfarzo. La salute della Regina è sempre più precaria e, nonostante diciassette gravidanze, nessuno dei suoi figli è riuscito a pretendere il trono. Malata e psicologicamente fragile, Anna non è più in grado di governare. L’aristocratica Lady Sarah Churchill (Rachel Weisz) sostiene e consiglia la regina, in realtà è lei stessa a tenere le redini del governo del paese, ma è anche qualcosa in più per Anna, una confidente e un’amante. Gli equilibri di corte cambiano quando giunge Abigail Masham (Emma Stone), cugina di Sarah la cui famiglia è stata screditata dai debiti di gioco del padre. Abigail è alla ricerca di un’occasione per ritrovare gli agi di un palazzo nobiliare. Mentre la politica e la guerra allontanano Sarah dalla regina, Abigail riesce ad entrare nelle sue grazie, prima diventandone la confidente e poi insinuandosi tra le sue lenzuola.

favoritaLanthimos sceglie la forma del racconto in costume, basato su fatti rigorosamente accaduti e ben documentati, per raccontare un triangolo tutto femminile, dove sensualità e potere si intrecciano e si sfidano. Lo spunto per il film nasce da Wiston Churchill che, prima della sua esperienza come politico, dedicò una monumentale biografia al suo antenato il Duca di Marlborough, all’interno della quale le vicende di Amma, Sarah e Abigail occupano una buona parte delle memorie. Yorgos Lanthimos utilizza uno stile che si giostra a cavallo tra la raffinatezza stilistica di un Barry Lindon e il crudo e sporco cinismo di un Game of Thrones al femminile, trasformando un film in costume in un moderno sguardo autoriale sul rapporto tra potere, sesso e sulle manipolazioni che si creano nel loro intreccio.
Si percepisce che la mano che ha scritto la sceneggiatura non è più quella di Efthymis Filippou. Lo stile non è più quello intellettuale, surreale e metaforico, al limite dell’incomprensibilità, dei sui film precedenti. Lanthimos racconta personaggi reali attraverso grandangoli spinti tanto da deformarli, quasi a sottolinearne il grottesco, accostando con arguzia gli aspetti nobiliari ed di grande sfarzo con aspetti estremamente umorali, corporei e molto umani.
Lo sguardo è caustico come la soda con cui le altre serve feriscono le mani di Abigail appena ammessa a corte, evidentemente non nel suo ruolo nei panni di una sguattera, ma anche sporco come il maleodorante letame dove, sempre Abigail, viene fatta cadere scendendo dalla carrozza che l’ha condotta alla dimora di Hatfield House. La satira della società settecentesca diventa quella del mondo attuale ma conserva la sottile sagacia di alcuni scritti di autori come Jonathan Swift, non a caso citato tra i concitati dialoghi tra le tre splendide attrici protagoniste.

Carlo Prevosti

Del Barocco solo l’apparenza

Quello barocco è un periodo storico complesso, controverso, spesso considerato negativamente per la sua ridondanza e per aver rappresentato il momento di massimo trionfo del controriformismo tridentino. Ma che cos’è davvero il barocco? Il barocco è essenzialmente un’ideologia nella quale, forse per la prima volta nella storia dell’Occidente, politica, filosofia, arte, scienza, morale e fenomeno di costume sono confluiti in un’unica aspirazione totalizzante tesa ad algebrizzare ogni favoritaaspetto della realtà e dominarne le possibili varianti, partendo da presupposti dottrinali ed estetici completamente diversi da quelli del Rinascimento. Nel barocco, infatti, il continuum tra le cose non è più cercato nel rapporto causa-effetto, bensì nel mutamento della forma rispetto a una somiglianza comune a tutti gli enti, che in quanto tale suggerisce un’intrinseca unità nella continuità indipendentemente dai nessi spazio-temporali. Il corso degli eventi finisce così per perdere l’antico andamento rettilineo e dispiegarsi all’interno di una dimensione senza tempo, in cui, proprio come nel teatro di Bibbiena e Scabozzi, i punti di fuga si moltiplicano e la realtà, costretta a contemplare tutte le possibilità in un unico momento, prende a deformarsi, contorcersi, incresparsi, avvolgersi autoreferenzialmente su se stessa. L’aspetto più affascinante di questo approccio ideologico è il sistema di codificazione dei comportamenti umani, che trova compimento in una teatralizzazione sovraccarica di ogni aspetto della vita quotidiana, compresi i momenti più intimi e privati. È la vita che si autorappresenta, si specchia, si pavoneggia, si reinventa narcisisticamente, ostentando tanto il vizio quanto la virtù, in un inestricabile groviglio di gesti e accessori posticci che lanthimosaffermano e negano allo stesso tempo. Riccioli, pieghe e increspature ricorrono ossessivamente in ogni ambito della vita sociale e culturale dell’uomo, dalle forme architettoniche di chiese e palazzi, ai boccoli delle parrucche dei cortigiani, dalla filosofia monadica di Leibniz, al morboso contrappunto di Bach. Tutto è debordante, eccessivo, bugiardo, e tuttavia sommamente autentico perché, proprio come accade nel teatro e nel gioco, attraverso la finzione si creano le condizioni per l’emersione di mondi e inquietudini altrimenti imperscrutabili. Per questa ragione il barocco provoca così tanta repulsione e contemporaneamente attrazione, stupore, fascinosa destabilizzazione.
Ne La favorita di Yorgos Lanthimos, tutto questo non si trova, o meglio, lo si percepisce solo in superficie, senza che si inneschi mai quell’effetto straniante tipico delle atmosfere secentesche e settecentesche. Eppure le precedenti opere del regista greco, così intrise di paradossi e senso del grottesco, sembravano presagire scenari diversi. È come se trovatosi alle prese con la tematica storica, quasi per timore di non riuscire a realizzare un’opera sufficientemente convincente dal punto di vista filologico, Lanthimos si fosse inibito, perdendo quella visionarietà disorientante e disturbante che avrebbe invece contribuito a restituire in modo più autentico la contraddittorietà di un’epoca che amava dire il vero mostrando il falso e 008_thefavouritedire il falso mostrando il vero. Ne La favorita il vero prende invece il sopravvento, irrompendo con tale impeto nel solco della traccia principale che le sotto tracce finiscono inevitabilmente per inaridirsi senza riuscire a innescare un efficace contrappunto, né dare luogo a quel gioco di rifrazioni e deformazioni che è alla base del gusto barocco per l’intreccio e per l’itinerario labirintico. E non basta certo qualche bizzarro movimento di camera o qualche ardito grandangolo, piazzati qua e là con inutile sfoggio di bravura tecnica, a correggere il tiro, anche perché, se vogliamo essere filologicamente corretti fino in fondo, certi tipi di deformazione da specchio convesso sono più vicini all’estetica fiamminga del ‘400 che a quella inglese del XVIII secolo. Ne consegue un andamento narrativo fastidiosamente lineare, a tratti persino noioso, privo di incisività e di forza drammaturgica, in cui gli eventi si susseguono all’ordinario ritmo di una fiction e la stessa rappresentazione della crudeltà, elemento sicuramente centrale nel barocco, finisce per assumere caratteri stereotipi da regina cattiva di Biancaneve, solo che in questo caso la parte dell’ingenua spetta alla sovrana, mentre a Biancaneve è riservato il ruolo di una tirannica Lady Herbert di second’ordine, che usa l’esca del sesso per ottenere i propri ambiziosi scopi. A questo proposito, neppure il tentativo di mettere in scena la solitudine e il paradossale asservimento che l’esercizio del potere talvolta comporta appare riuscito. Nonostante la discreta interpretazione di Olivia Coleman, brava e tuttavia imbrigliata in un copione che lascia poco spazio a una vera indagine introspettiva, la regina Anna assume i caratteri di un’insopportabile bambina capricciosa, le cui stramberie si dimostrano al punto svuotate di autentica sofferenza da impedire qualsiasi empatia e sentimento di compassione. Lanthimos non è Rossellini, e si vede. Ne La favorita, il rito di corte non assume mai quelle prerogative che emergono invece con forza in quell’insuperato capolavoro di rievocazione storica che ha per titolo La presa del potere da parte di Luigi XIV, dove lo sfarzo del cerimoniale è mostrato nella sua doppia valenza di pericoloso strumento di auto reclusione e allo stesso tempo di soggiogamento e sottomissione altrui. Ma non è neppure Greenaway, le cui capacità di svelare il mistero e la macchinazione attraverso lo specchio dell’arte e la lusinga del sesso resta ancora un modello inarrivabile. E soprattutto, Lanthimos non è Stanley Kubrick, il solo autore, forse, a essere riuscito a fare della bellezza formale la condizione imprescindibile di svelamento della difformità, restituendo al barocco il paradossale ruolo di modello estetico che de-estetizza, di formalità che deforma.


Quello che Lanthimos riesce a realizzare è soltanto un buon lavoro di intrattenimento, che al di là dell’ottima fotografia, della ricerca raffinata di costumi e location e di qualche ardita inquadratura, non sa spingersi oltre il decorativo. Troppo poco barocco, troppo poco Lanthimos.

 Manuel Farina

La favorita

Regia: Yorgos Lanthimos. Sceneggiatura: Deborah Davis, Tony McNamara. Fotografia: Robbie Ryan. Montaggio: Sam Sneade. Interpreti: Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult, Joe Alwyn. Origine: Irlanda/GB/Usa, 2018. Durata: 119′.

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