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La vecchiaia

E’ sconcertante insistere a voler mettere bandierine anche su territori che non sono terre da conquistare. Che godimento sterile fondare il piacere tre_moschettierisullo sventolio di un vessillo. Ridurre tutto al tifo da bar dello sport, quantunque anche i bar dello sport non esistono più, se non nelle parodie del talk televisivo. Si è crocefissa la giuria del più grande festival di cinema al mondo – e sfregiato i Coen con l’arroganza dei deboli – perché colpevole di aver spostato in secondo piano i tre moschettieri italiani, a cui, ad un certo punto, sembrava doveroso assegnare un premio (anche una coppa del nonno). Per questo molta stampa italiana ha applaudito in playback il palmares, sfottendo gusto e convinzioni di una commissione giudicante che ad un tratto è stata ridotta a una manica di incompetenti.
E invece, che noi lo si voglia o meno, i verdetti vanno accettati, pensando che non vincere non significa sempre essere stati derubati. Questione culturale. Altra frase ricorrente, tanto da non poterne più, tanto da rimarcare la condizione di eterni vecchi, incapaci di farci nuovi e diversi. D’accordo, Moretti, Sorrentino e Garrone (quest’ultimo soprattutto, a giudizio di chi scrive) non portavano film mediocri, ma, nonostante il concorso non fosse tutto di livello (e quanto mai), c’erano diversi film belli, alcuni splendidi.
Ridicolo è appiccicare a un prodotto dell’ingegno e della creatività un’etichetta di appartenenza geografica solo per sentirne meglio le vibrazioni, La Tete Haute Photocall - 68th Cannes Film Festivalper poter ancora una volta produrre un’emozione cieca come il tifo, trasformare, si intende, una passione per il bello artistico in una irrazionale dichiarazione d’amore a prescindere. Abbiamo sopportato in silenzio le aperture degli inviati da Cannes (che meriterebbero sicuramente una vacanza nell’hotel di Davos, dove è ambientato Youth e il teorema della vecchiaia sorrentiniana) che urlavano frasi ad effetto (ma quale effetto?) tipo “L’Italia cala i suoi assi”, “L’Italia in prima fila per un premio”. Come se fossimo a giochi senza frontiere o alla finale dei mondiali. Invece, per fortuna, eravamo nell’epicentro di una kermesse artistica, nel cuore pulsante di una mostra cinematografica, che spiazza costantemente con la transnazionalità delle produzioni, che lascia sfilare opere che cercano l’universale, anche nei suoi angoli più remoti. E allora, non fateci più sentire l’odore stantio delle bandiere issate sul campanile, perché a vincere Cannes non è stata la Francia o a ruota l’Ungheria, Taiwan, la Grecia, ma i film diretti dal talento di registi che meritano di essere ascoltati (e guardati), quanto i “nostri” alfieri. Viva il cinema e la giovinezza.

Alessandro Leone

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