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Minari

Un inno alla rinascita

Maggio 2021: dopo quasi otto mesi le sale cinematografiche finalmente riaprono le porte al pubblico tirando le inconfondibili tende di velluto rosso. Con un bagaglio indescrivibile di emozione scelgo come battesimo cinematografico Minari, quarto lungometraggio del regista di origini sudcoreane Lee Isaac Chung.
L’attenzione e i riconoscimenti ottenuti dall’opera di Lee Isaac Chung (sei candidature tra cui una statuetta ai Premi Oscar 2021 e un Golden Globe 2021 per il miglior film straniero, solo per citarne alcuni) ci confermano la tendenza degli ultimi anni di uno sguardo che volge verso oriente, per regia, storie o ambientazioni.

Il minari, che da’ il titolo al film, è qualcosa di meraviglioso, dice con delicatezza e convinzione la nonna “non vera nonna” Soon-ja della famiglia protagonista del film, interpretata da YoonYeo-jeong, fresca di premio oscar come attrice non protagonista. Il minari è magico, cresce dappertutto ed è per tutti.
La collocazione temporale di Minari è in parte dovuta ad un’esperienza autobiografica del regista che trascorse la sua infanzia in una fattoria nell’Arkansas rurale ed è proprio in questo contesto che troviamo la famiglia sudcoreana Yi, appena trasferitasi dalla California per rincorrere il sogno americano agli albori degli anni 80.
Jacob, un carismatico Steven Yeun, è stanco di lavorare al sessaggio dei polli con sua moglie Monica (Han Ye-ri) e decide di avviare un’attività in proprio acquistando un terreno adibito alla coltivazione con l’obiettivo di rivendere i prodotti, frutto del duro lavoro, ai 30 mila coreani che ogni anno arrivano negli Stati Uniti. All’ottimista intraprendenza e caparbietà di Jacob si contrappone, fin dalle prime scene, lo scetticismo di Monica, alimentato dalla preoccupazione per le condizioni di salute del figlio David, un simpaticissimo Alan Kim che mi ha tanto ricordato il fratello minore della famiglia Hayashi in Buon giorno di Yasujiro Ozu.
L’equilibrio familiare precario si arricchisce dell’improvvisa presenza di Soon-ja, madre di Monica, una nonna stramba e fuori dagli schemi che ci regala una visione profonda e delicata, ma allo stesso tempo ironica, della tradizione sudcoreana.
Il personaggio di Soon-ja, come quello di Paul (Will Patton), bracciante “sotto di Gesù” e aiutante di Jacob, sono estremamente caratterizzati e creano una sorta di cortocircuito nelle vite dei protagonisti della famiglia Yi, un cortocircuito che porterà loro alla conquista della salvezza.

Minari è un dramma familiare e di integrazione, con un’attenzione minuziosa alle sfaccettature dei singoli personaggi e le contraddizioni che si creano tra loro, sostenute da continui primi piani, un montaggio fluido ad opera di Harry Yoon e una fotografia calda di Lachlan Milne. La regia di Lee Isaac Chung ci conduce delicatamente per mano, come Jacob fa con David, ad un punto di rinascita rigogliosa ai piedi di un fiume.
Al termine della proiezione vien da chiedersi se non sia un caso che il cinema in sala sia ripartito anche da Minari.

Tatiana Tascione

Minari

Regia e sceneggiatura: Lee Isaac Chung. Fotografia: Lachlan Milne. Montaggio: Harry Yoon. Interpreti: Steven Yeun, Ye-ri Han, YuhJungYoun, AlanKim, Noel Cho, Will Patton. Origine: USA, 2020. Durata: 115′.

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