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Mommy

In un Canada appena un po’ di là nel tempo di quello presente, una legge controversa permette ai genitori di ragazzi con problemi mentali di confinare i propri figli in un istituto, senza che sia necessaria nessuna particolare autorizzazione. Diane ha poco più di quarantanni ed un figlio, Steve, che soffre di attacchi d’ira e di deficit dell’attenzione. Diane sa che la vita con Steve è una corsa sul filo, aggrappata ad un equilibrio precario e in attesa costante del prossimo passo falso, eppure proverà fino alla fine a tenerlo con sé.

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 Xavier Dolan ha venticinque anni ed è al suo quinto film. Da subito, dalla sua prima apparizione come regista – nel 2009 con J’ai tué ma mère alla Quinzaine de réalisateurs del Festival di Cannes – è diventato qualcosa di cui parlare. Con Mommy (2014), Gran Premio della Giuria a Cannes ex equo con l’ultimo lavoro di Godard, ha forse ottenuto la sua definitiva consacrazione.

Sostiene Dolan che il Cinema è il modo che ha trovato per incanalare la propria rabbia. Sostiene di non perseguire uno scopo preciso, ma di fare quello che fa per non morire. E’ come respirare, dice.
Se davvero così stanno le cose, con Mommy Dolan si pone da subito degli argini strettissimi entro i quali far confluire il proprio respiro. Girato quasi interamente in un formato molto vicino all’ 1:1, lascia alle proprie immagini appena lo spazio per contenere un corpo; e se più di uno dovrà entrare nell’inquadratura, allora saranno corpi addossati. Saranno abbracci o scontri.
La scelta di un formato così inusuale, a testimonianza delle costrizioni e delle difficoltà dentro le quali i suoi personaggi portano avanti la storia, costringe però Dolan ad andare alla ricerca di un linguaggio che sia ad esso coerente. Questa coerenza linguistica è forse il maggior pregio del film.
In quasi due ore e mezza, Dolan butta sulla scena solamente tre personaggi: Diane, madre vedova e giovane allo stesso tempo, ha più di quarant’anni ma si veste come se non ne avesse ancora venti; sboccata e scontrosa, è però determinata e colma di amore per il figlio. Steve, semplicemente incontrollabile; violento senza preavvisi e tenero di colpo, disperatamente dipendente dalla madre. E poi Kyle, insegnante in aspettativa. Trattenuta nelle intenzioni come lo sono le sue parole dalla balbuzie che la perseguita, ha un passato doloroso ed invadente, che con intelligenza ci viene suggerito senza lo sforzo di mostrarlo.
Dolan si rende conto che tre personaggi così, in ostaggio della propria parte interiore, chiusi in un formato tanto stretto, non possono che abitare lo schermo per continui strappi emotivi, in difficili tentativi di recuperare un qualche tipo di stabilità. Non c’è una scansione temporale precisa in Mommy. Le cose accadono con ritmo incostante e sono solo poche le sequenze che non sarebbe possibile spostare più avanti o più indietro, senza che cambi il risultato finale. Saltano i raccordi temporali e saltano anche quelli spaziali. Il montaggio segue anch’esso la logica che Dolan ha imposto a tutto il film (si guardi ad esempio la sequenza dello scontro fisico tra Diane e Steve, dove la camera sembra smarrire il sopra e il sotto, la destra e la sinistra. La consapevolezza insomma dello spazio).1

Eppure, paradossalmente, Mommy segue un arco narrativo consolidatissimo: presentazione del problema, primo tentativo di risoluzione, peggioramento della situazione, scelta finale. Ma su questa impalcatura tanto solida, Dolan ha saputo allestire una storia innervata da uno sguardo del tutto personale, e che segue una logica sua propria: la logica dei sentimenti.
Mommy è, in definitiva, uno sguardo vorace sui sentimenti. E’ probabilmente da questa insaziabile voracità che derivano le frequenti sottolineature e gli unici due attimi in cui Dolan sembra eccedere, e che vanno cercate, a giudizio di chi scrive, nella sequenza del futuro immaginato e nell’ultima dedicata a Steve. Eppure, di questo vorace sguardo, Dolan ha saputo fare sistema, dimostrando una sincerità e una consapevolezza che ben presto ci fanno perdonare quei piccoli eccessi. L’augurio è allora che la maturità non spenga, nel tentativo di addomesticarla fino in fondo, quella rabbia che Dolan non può fare a meno di sentire e di buttare nel proprio cinema.

Matteo Angaroni

Mommy

Regia, sceneggiatura, montaggio e costumi: Xavier Dolan. Fotografia: André Turpin. Iterpreti: Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément. Origine: Canada, Francia 2014. Durata: 140′.

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